Due immagini forti: una porta stretta e davanti ad essa una folla che si accalca e preme per entrare.
Poi, quella soglia stretta, immersi in un’atmosfera di festa, in una calca multicolore e multietnica: verranno da oriente e da occidente, da nord e da sud e siederanno a mensa…
La porta stretta ci fa pensare a sacrifici e fatiche. Ma il Vangelo non dice questo.
La porta è stretta, vale a dire a misura di bambino e di povero: “se non sarete come bambini non entrerete…”
La porta è piccola, come i piccoli che sono casa di Dio: “tutto ciò che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me”. Perché nessuno si salva da sé, ma tutti possiamo essere salvati da Dio. Non per i nostri meriti ma per la sua bontà, per la porta santa che è la sua misericordia. Lo dice il verbo “salvarsi” che nel vangelo è al passivo, un passivo divino, dove il soggetto è sempre Dio.
Quando la porta da aperta si fa chiusa, inizia la crisi dei “buoni”. Abbiamo mangiato alla tua presenza (allusione all’Eucaristia), hai insegnato nelle nostre piazze (conosciamo il Vangelo e il catechismo), perché non apri? Non so di dove siete, voi venite da un mondo che non è il mio.
Non basta mangiare Gesù, che è pane, occorre farsi pane per gli altri. Non basta essere credenti, dobbiamo essere credibili. La misura è nella vita. la fede vera si mostra non da come uno parla di Dio, ma da come parla e agisce nella vita.
Tutti possono passare per le porte sante di Dio. Il sogno di Dio è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza.
È possibile per tutti vivere meglio, e Gesù ne possiede la chiave.
Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo, variopinti clandestini del regno, arrivati ultimi e per lui considerati primi.