Qual’è, nella Legge, il più grande comandamento? Lo sapevano tu in Israele qual era: il terzo, quello che prescrive di sanficare il Sabato, perché anche Dio lo aveva osservato (Genesi 2,2).
La risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, ma colloca al cuore del Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: tu amerai.
Un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito che è desiderio, attesa, profezia di felicità per ognuno. Il percorso della fede inizia con un «sei amato» e si conclude con un «amerai». In mezzo germoglia la nostra risposta al corteggiamento di Dio.
Amerai Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso. Gesù non aggiunge nulla di nuovo: la prima e la seconda parola sono già scrittoe nel Libro.
La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, la prima.
L’averle separate è l’origine dei nostri mali, dei fondamentalismi, di tutte le arroganze, del triste individualismo.
Ma amare che cosa? Amare l’Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza; ogni briciola di pane buono, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un’intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l’uomo, di cui è orgoglioso.
Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente. Lasciando risuonare e agire la forza di quell’aggevo «tuo», ribadito quattro volte. Il tutto di cuore, mente, anima, forza. Noi pensiamo
che la santità consista nella moderazione delle passioni. L’unica misura dell’amore è amare senza misura.
Amerai con tuo, con tuo, con tuo. Non c’è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell’uomo, nessun’altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amerai Dio e il prossimo.
(Nella foto l’altare di S. Lorenzo addobbato per la festa di Tutti Santi)