Gesù viveva le situazioni di frontiera della vita, incontrava le persone là dov’erano e araversava con loro i territori della mala a e della sofferenza: dove giungeva, in villaggi o città o campagne, gli portavano i mala e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello.
E quanti lo toccavano venivano salvati. Da qui veniva Gesù, portando negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, e insieme l’esultanza incontenibile dei guariti.
Ora farisei e scribi lo provocano su delle piccolezze: mani lavate o no, questioni di stoviglie e di oggetti! Si capisce come la replica di Gesù sia decisa e insieme piena di sofferenza: Ipocriti! Voi avete il cuore lontano! Lontano da Dio e dall’uomo.
Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, è di vivere una religione dal «cuore lontano», fatta di pratiche esteriori, di formule recitate solo con le labbra; di compiacersi delle proprie preghiere, della musica, della bellezza delle cose, ma non soccorrere gli orfani e le vedove, non curare le relazioni.
Il pericolo del cuore di pietra, indurito, del «cuore lontano» da Dio e dai fratelli è quello che Gesù più teme. Il vero peccato per Gesù è innanzituo il rifiuto di partecipare al dolore dell’altro,
e l’ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio.
Lui propone il ritorno al cuore, per una religione dell’interiorità.
Non c’è nulla fuori dall’uomo che entrando in lui possa renderlo impuro, sono invece le cose che escono dal cuore dell’uomo. Gesù scardina ogni pregiudizio circa il puro e l’impuro, quei pregiudizi
così duri a morire.
Ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell’uomo e della donna. Come è scrio: «Dio vide e tuo era cosa buona».
Impariamo a guardare così la realtà e abbiamo cura del nostro cuore: sia capace, sì, di bellezza, ma anche di fraternità e di umanità.
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