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2025 – Echi di Vita N°04 – A NAZARET IL SOGNO DI UN MONDO NUOVO

Tutti gli occhi erano fissi su di lui. Sembrano più attenti alla persona che legge che non alla parola proclamata. Sono curiosi, lo conoscono bene quel giovane, appena ritornato a casa, nel villaggio dov’era cresciuto nutrito, dalle parole di Isaia che ora proclama: parole così antiche e così amate, così pregate e così agognate, così vicine e così lontane. Annuncio di un anno di grazia, di cui Gesù soffia le note negli inferi dell’umanità.

   Gesù davanti a quella piccolissima comunità presenta il suo sogno di un mondo nuovo. E sono solo parole di speranza per chi è stanco, o è vittima, o non ce la fa più: sono venuto a incoraggiare, a portare buone notizie, a liberare, a ridare vista. Testo fondamentale e bellissimo, che non racconta più “come” Gesù è nato, ma “perché” è nato. Che ridà forza per lottare, apre il cielo alle vie della speranza.

Poveri, ciechi, oppressi, prigionieri: questi sono i nomi dell’uomo. E lo scopo che persegue non è quello di essere finalmente adorato e obbedito da questi figli distratti e splendidi che noi siamo. Dio non pone come fine della storia se stesso o i propri diritti, ma uomini e donne dal cuore libero e forte. E guariti, e con occhi nuovi che vedono lontano e nel profondo. E che la nostra storia non produca più poveri e prigionieri.

Gesù non si interroga se quel prigioniero sia buono o cattivo; a lui non importa se il cieco sia onesto o peccatore, se il lebbroso meriti o no la guarigione. C’è buio e dolore e tanto basta per far piaga nel cuore di Dio. Solo così la grazia è grazia e non calcolo o merito. Impensabili nel suo Regno frasi come: È colpevole, deve marcire in galera.

Il programma di Nazaret ci mette di fronte a uno dei paradossi del Vangelo. Il catechismo che abbiamo mandato a memoria diceva: «Siamo stati creati per conoscere, amare, servire Dio in questa vita e poi goderlo nell’eternità». Ma nel suo primo annuncio Gesù dice altro: non è l’uomo che esiste per Dio, ma è Dio che esiste per l’uomo. C’è una commozione da brividi nel poter pensare: Dio esiste per me, io sono lo scopo della sua esistenza. Il nostro è un Dio che ama per primo, ama senza contare, di amore unilaterale.

La buona notizia di Gesù è un Dio sempre in favore dell’uomo e mai contro l’uomo, che lo mette al centro, che dimentica se stesso per me, e schiera la sua potenza di liberazione contro tutte le oppressioni esterne, contro tutte le chiusure interne, perché la storia diventi totalmente “altra” da quello che è. E ogni uomo sia finalmente promosso a uomo e la vita fiorisca in tutte le sue forme, finalmente ricca di speranza!

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2025-N-003

2025 – Echi di Vita N°03 – CANA, I NOSTRI CUORI COME ANFORE DA RIEMPIRE

C’è una festa grande, in una casa di Cana di Galilea: le porte sono aperte, come si usa, il cortile è pieno di gente, gli invitati sembrano non bastare mai alla voglia della giovane coppia di condividere la festa, in quella notte di fiaccole accese, di canti e di balli. C’è accoglienza cordiale perfino per tutta la variopinta carovana che si era messa a seguire Gesù, salendo dai villaggi del lago.

Il Vangelo di Cana coglie Gesù nelle trame festose di un pranzo nuziale, in mezzo alla gente, mentre canta, ride, balla, mangia e beve, lontano dai nostri falsi ascetismi. Non nel deserto, non nel Sinai, non sul monte Sion, Dio si è fatto trovare a tavola. La bella notizia è che Dio si allea con la gioia delle sue creature, con il vitale e semplice piacere di esistere e di amare: Cana è il suo atto di fede nell’amore umano.

Lui crede nell’amore, lo benedice, lo sostiene. Ci crede al punto di farne il caposaldo, il luogo originario e privilegiato della sua evangelizzazione. Gesù inizia a raccontare la fede come si racconterebbe una storia d’amore, una storia che ha sempre fame di eternità e di assoluto.

Anche Maria partecipa alla festa, conversa, mangia, ride, gusta il vino, danza, ma insieme osserva ciò che accade attorno a lei. Il suo osservare attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno vede e cioè che il vino è terminato, punto di svolta del racconto.

Non è il pane che viene a mancare, non il necessario alla vita, ma il vino, che non è indispensabile, un di più inutile a tutto, eccetto che alla festa o alla qualità della vita.

Ma il vino è, in tutta la Bibbia, il simbolo dell’amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio.

Felice e sempre minacciato.

Non hanno più vino, esperienza che tutti abbiamo fatto, quando ci assalgono mille dubbi, e gli amori sono senza gioia, le case senza festa, la fede senza slancio.

Maria indica la strada: qualunque cosa vi dica, fatela. Fate ciò che dice, fate il suo Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore. E si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice.

Più Dio equivale a più io. Il Dio in cui credo è il Dio delle nozze di Cana, il Dio della festa, del gioioso amore danzante; un Dio felice che sta dalla parte del vino migliore, che soccorre i poveri di pane e i poveri di amore. Un Dio felice, che si prende cura dell’umile e potente piacere di vivere.

Credere in Dio è una festa, l’incontro con Dio genera sempre vita, porta fioriture di speranza.

don Alfredo Di Stefano

 

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2025 – Echi di Vita N°02 – LO SPIRITO CI IMMERGE NEL VENTO E NEL FUOCO DI DIO

Viene dopo di me colui che è più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco, vi immergerà nel vento e nel fuoco di Dio.

Bella definizione del cristiano: Tu sei uno immerso nel vento e nel fuoco, ricco di vento e di fuoco, di libertà e calore, di energia e luce, ricco di Dio.

Il fuoco è il simbolo che riassume tutti gli altri simboli di Dio. Il fuoco è energia che trasforma le cose, è la risurrezione del legno secco del nostro cuore e la sua trasfigurazione in luce e calore.

Il vento alito di Dio ama gli spazi aperti, riempie le forme e passa oltre, che non sai da dove viene e dove va, fonte di libere vite.

Battesimo significa immersione. Uno dei più antichi simboli cristiani, quello del pesce, ricorda anche questa esperienza: come il piccolo pesce nell’acqua, così il piccolo credente è immerso in Dio, come nel suo ambiente vitale, che lo avvolge, lo sostiene, lo nutre.

Gesù stava in preghiera ed ecco, venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Quella voce dal cielo annuncia tre cose, proclamate a Gesù sul Giordano e ripetute ad ogni nostro battesimo.

Figlio è la prima parola: siamo tutti figli nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo, specie della sua specie, abbiamo Dio nel sangue.

Amato. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è amato.

Mio compiacimento è la terza parola, che contiene l’idea di gioia, come se dicesse: tu, figlio mio, mi piaci, ti guardo e sono felice.

Se ogni mattina potessi ripensare questa scena, vedere il cielo azzurro che si apre sopra di me come un abbraccio; sentire il Padre che mi dice con tenerezza e forza: figlio mio, amato mio, mio compiacimento; sentirmi come un bambino che anche se è sollevato da terra, anche se si trova in una posizione instabile, si abbandona felice e senza timore fra le braccia dei genitori, questa dovrebbe la nostra più bella, quotidiana esperienza di fede.

don Alfredo Di Stefano

 

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2025 – Echi di Vita N°01 – PREGHIERA PER IL NUOVO ANNO

Signore Dio, tuo è lo oggi e il domani, il passato e il futuro.

Al finire di questo anno, ti ringraziamo per tutto ciò che abbiamo ricevuto da Te.

Grazie per la vita e per l’amore, per l’aria e per il sole,

per la felicità e per il dolore, per ciò che fu possibile e per quello che non lo fu.

Ti offriamo tutto quello che abbiamo fatto quest’anno:

il lavoro che abbiamo potuto realizzare, le cose che sono passate per le nostre mani

e ciò che con esse abbiamo costruito.

Ti presentiamo le persone che durante questi mesi abbiamo amato,

le nuove amicizie e i vecchi affetti,

quelli che ci sono vicini e quelli che non abbiamo potuto aiutare.

Quelli con i quali abbiamo condiviso la vita, il lavoro, la sofferenza e l’allegria.

Però, Signore, oggi vogliamo chiederti perdono

per il tempo perduto, per le parole inutili e l’affetto sprecato;

per le azioni vuote e per il lavoro fatto male;

per vivere senza entusiasmo,

anche per la preghiera che a poco a poco abbiamo rimandato

e che adesso ti presentiamo per tutti i nostri silenzi e le nostre dimenticanze.

Da poche ore è iniziato il nuovo anno

e ti presentiamo questi giorni che sono.

Tu sai e ti chiedo per la comunità tutta, civile e religiosa,

pace, gioia, fortezza, prudenza, lucidità, saggezza e crescita…

La parola del nuovo anno:

vivere ogni giorno con ottimismo e bontà,

 non ferire nessuno, aprire i nostri cuori alla vita, a ciò che è bello, buono e giusto.

Facci crescere… Amen.

don Alfredo Di Stefano

 

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2024 – Echi di Vita N°52 – E’ IN FAMIGLIA CHE SI IMPARA IL NOME PIU’ BELLO DI DIO

Che cosa dice la Parola di Dio alle fragilità delle nostre famiglie? Dice prima di tutto che il matrimonio è santo come il sacerdozio. Che la vocazione dei genitori è santa come quella di una monaca di clausura. Perché l’amore quotidiano nella casa è un tutt’uno con l’amore di Dio. E non sono due amori, ma un unico, solo, grande mistero, che muove Adamo verso Eva, me verso gli altri, Dio verso Betlemme, nel suo esodo infinito verso di noi.

La famiglia è il luogo dove si impara il primo nome, e il più bello, di Dio: che Dio è amore; dove si assapora il primo sapore di Dio, così vicino a quello dell’amore.

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme. Questa parola ricorda alla famiglia che essa è in pellegrinaggio. Non sapevate che devo occuparmi d’altro da voi? I nostri figli non sono nostri, appartengono al Signore, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non può, non deve impostare la sua vita in funzione dei genitori. Sarebbe come bloccare la ruota della creazione.

Devo occuparmi delle cose del Padre. Per una vita piena e felice il primato è di Dio. Sono parole dure per i genitori, ma dove l’ha imparato Gesù se non nella sua famiglia? Me lo avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli! Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni, da una voce nella notte: alzati prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.

Ma essi non compresero. Gesù cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi i tre di Nazaret, sono profeti colmi di Spirito, eppure non capiscono i propri familiari. E noi ci meravigliamo di non capirci nelle nostre case? E qui leggo un conforto per tutte le famiglie, tutte diversamente imperfette, ma tutte capaci di far crescere. Si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà del mio uomo o della mia donna, ai perché inquieti di mio figlio. Si può crescere in virtù e grazia anche sottomessi al dolore di non capire e di non essere capiti.

E questo perché? Perché nei miei familiari abita un mistero. Di più, sono loro il mistero primo di Dio, il sacramento, vale a dire il segno visibile ed efficace. Isaia ha detto: Tu sei un Dio nascosto. Dove mai è nascosto Dio, se non nella mia casa? La casa è il luogo del primo magistero. Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca, ti parla, ti fa crescere. Ti insegna l’arte di vivere, l’arte di dare e ricevere amore.

don Alfredo Di Stefano

 

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2024 – Echi di Vita N°51 – GESU’, PRINCIPE DELLA PACE. NATALE 2024

In occasione del Natale 2024, desidero condividere un messaggio carico di significato e speranza, rivolto a tutto il territorio. Al centro sta l’annuncio di pace che il Natale porta con sé, un richiamo profondo che invita ognuno di noi a farsi costruttore di pace nella quotidianità.

È il Natale di Gesù che noi celebriamo. Ricordo che il cuore del Natale è l’annuncio della pace. Gli angeli stessi proclamano pace al momento della nascita di Gesù, e il Bambino che viene al mondo è riconosciuto come il Principe della Pace. Questo augurio di pace sottolinea quanto sia urgente e necessario in un contesto in cui le guerre devastano la vita di tanti.

Vogliamo raccogliere l’annuncio natalizio di pace? Costruire la pace, significa innanzitutto partire dalla propria quotidianità: superare i conflitti non con atteggiamenti ostili o distruttivi, ma con gesti che tessono un tessuto di riconciliazione e dialogo.

La pace si costruisce nei nostri gesti quotidiani. Per un bel vestito, la stoffa è fondamentale, non bastano le decorazioni, così nelle nostre relazioni, i segni autentici di pace, ne fanno l’essenza.

Questa opera di pace è sostenuta dalla preghiera, che non solo affida le nostre intenzioni a Dio, ma infonde anche la forza necessaria per essere testimoni credibili. Pregando si nutre la nostra forza per essere testimoni di pace. Allargare lo sguardo e il cuore verso l’intera umanità, chiedendosi: “Che cosa posso fare io concretamente a partire dalla mia realtà per un’umanità più vasta?” Questo slancio verso il bene comune nasce dalla consapevolezza che, nella tenerezza di un bambino, Dio stesso si è fatto presente.

Un augurio di speranza e impegno per un Natale santo e pieno di pace, sottolineando che questa pace non è solo un sentimento, ma un impegno concreto, radicato nella fede e nella consapevolezza del mistero dell’incarnazione. “Sia veramente Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama.”

Vi invito tutti a vivere il Natale come un’occasione per rinnovare l’impegno personale e comunitario a essere portatori di pace, un dono prezioso di cui il mondo ha oggi più che mai bisogno.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-050

2024 – Echi di Vita N°50 – LE TRE REGOLE INDICATE DA GIOVANNI PER CAMBIARE

Le folle interrogavano Giovanni.

Va da lui la gente che non frequenta il tempio, gente qualunque, pubblicani, soldati; vanno da quell’uomo credibile con un’unica domanda, che non tocca teologia o dottrina, ma va diritta al cuore della vita:

che cosa dobbiamo fare?

Perché la vita non può essere solo lavorare, mangiare, dormire. Tutti sentiamo che il nostro segreto è oltre noi, che c’è una vita ulteriore, come appello o inquietudine, come sogno o armonia. Una fame, una voglia di partire:

profeta del deserto, tu conosci la strada?

Domandano cose di tutti i giorni, perché il modo con cui trattiamo gli uomini raggiunge Dio, il modo con cui trattiamo con Dio raggiunge gli uomini.

Giovanni risponde elencando tre regole semplici, fattibili, alla portata di tutti, che introducono nel mio mondo l’altro da me. Il profeta sposta lo sguardo: da te alle relazioni attorno a te.

Prima regola: chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto.

Regola che da sola basterebbe a cambiare la faccia e il pianto del mondo. Quel profeta diceva: ciò che hai e non usi, è rubato ad un altro. Giovanni apre la breccia di una terra nuova: è vero che se metto a disposizione la mia tunica e il mio pane, io non cambio il mondo e le sue strutture ingiuste, però ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che il dolore degli altri ha dei diritti su di me, che io non abbandono chi ha fatto naufragio, che la condivisione è la forma più propria dell’umano.

Vengono ufficiali pubblici, hanno un ruolo, un’autorità: non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato. Una norma così semplice da sembrare perfino realizzabile, perfino praticabile: una insurrezione di onestà, la semplice rivolta degli onesti: almeno non rubate!

Vengono anche dei soldati, la polizia di Erode: hanno la forza dalla loro, estorcono pizzi e regalie; dicono di difendere le legge e la violano: voi non maltrattate e non estorcete niente a nessuno. Non abusate della forza o della posizione per offendere, umiliare, far piangere, ferire, spillare soldi alle persone.

Niente di straordinario. Giovanni non dice “lascia tutto e vieni nel deserto”; semplici cose, fattibili da chiunque: non accumulare; se hai, condividi; non rubare e non usare violenza.

Il brano si conclude con Giovanni che alza lo sguardo: viene uno più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. È il più forte non perché si impone e vince, ma perché è l’unico che parla al cuore, l’unico che “battezza nel fuoco“. Ha acceso milioni e milioni di vite, le ha accese e le ha rese felici.

Questo fa di lui il più forte. E il più amato.

don Alfedo Di Stefano

 

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2024 – Echi di Vita N°49 – IL NOME DELL’UOMO? ‘ECCOMI’

L’annunciazione è l’estasi della storia: viene ciò che l’umanità da sola non può darsi. La storia esce da se stessa, si ricentra su di un altro cardine, si illumina di un altro sole.

Tre volte parla l’angelo: una parola di gioia, “kaire”; una contro la paura, “non temere”; un’ultima parola perché ci sia vita nuova, “lo Spirito verrà e sarai madre”.

L’angelo propone le tre parole assolute: gioia, fine di ogni paura e vita.

“Rallegrati”, “Non temere”, “Ecco verrà una vita”.

Sono le tre parole che angeli e profeti ripetono dentro tutta la nostra storia, dentro tutta la Scrittura per chi non voglia che di lui sia detto ciò che dicevano di Elisabetta: «Ecco, tutti la dicono sterile».

Toccano le corde più profonde di ogni esistenza umana: il bisogno di felicità, la paura che è madre di inganno e di violenza, l’ansia divina di dare la vita.

L’angelo ci assicura che i segni dell’avvicinarsi di Dio sono questi: si moltiplica la gioia, la paura si dissolve, risplende la vita.

Prima parola: «Sii felice Maria, Dio ha posto in te il suo cuore».

Il primo vangelo è lieta notizia, qualcosa precede ogni nostra risposta.

L’angelo non dice: «Fai questo o quello, ascolta, prega, vai». Semplicemente: «Gioisci, Maria», sii felice perché, lo sai, la felicità viene dai volti; anche Giuseppe e il suo pensiero e il suo volto ti fanno felice, ma ora è qui colui che è il volto dei volti, è con te, ha posto in te il suo cuore; gli altri sono solo frammenti di quel volto, gocce di luce di quella luce; Dio è con te con quell’abbraccio di cui quelli sulla terra sono solo parabole, solo nostalgia.

Sii felice, tu sei amata teneramente, gratuitamente, per sempre. Il nome di Maria è «amata per sempre». E la sua funzione nella chiesa è di ricordare nel suo stesso nome questo amore che porta gioia.

Non temere Maria. Non temere se Dio non prende la strada dell’evidenza, dell’efficienza, della grandezza; non temere se Dio, l’Altissimo, si nasconde in un piccolo embrione umano, non temere le nuove vie di Dio, così lontane dalla scena, dalle luci, dai palazzi della città, dalle emozioni solenni del tempio, non temere questo Dio bambino, che vivrà solo se tu lo amerai.

Dio vivrà per il tuo amore. Sarà felice se tu lo farai felice.

Tre volte parla l’angelo, tre volte risponde Maria, prima con il silenzio e il turbamento, poi con il desiderio di capire, infine con il servizio.

La prima azione di Maria è ascoltare questo angelo inatteso e sconcertante. Primo passo per chiunque voglia entrare in un rapporto vero con le creature o con Dio, con uomini o angeli, l’arte dell’ascolto.

Con la sua ultima parola rivela il nostro vero nome. Il nome dell’uomo è: «Eccomi!».

don Alfredo Di Stefano

 

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2024 – Echi di Vita N°48 – SE NON ALZI IL TUO CAPO, NON VEDRAI L’ARCOBALENO

Ricomincia da capo l’anno liturgico, quando ripercorreremo un’altra volta tutta la vita di Gesù.

L’anno nuovo inizia con la prima domenica d’Avvento, il primo giorno di un cammino che conduce a Natale, che è il perno attorno al quale ruotano gli anni e i secoli, l’inizio della storia nuova, quando Dio è entrato nel fiume dell’umanità.

Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per ciò che dovrà accadere.

Il Vangelo non anticipa la fine del mondo, racconta il segreto del mondo: ci prende per mano e ci porta fuori, a guardare in alto, a sentire il cosmo pulsare attorno a noi; ci chiama ad aprire le finestre di casa per far entrare i grandi venti della storia, a sentirci parte viva di una immensa vita. Che patisce, che soffre, ma che nasce.

Il mondo spesso si contorce come una partoriente, dice Isaia, ma per produrre vita: è in continua gestazione, porta un altro mondo nel grembo. La terra risuona di un pianto mai finito, ma il Vangelo ci domanda di non smarrire il cuore, di non camminare a capo chino, a occhi bassi.

Risollevatevi, alzate il capo, guardate in alto e lontano, la liberazione è vicina.

Siamo tentati di guardare solo alle cose immediate, forse per non inciampare nelle macerie che ingombrano il terreno, ma se non risolleviamo il capo non vedremo mai nascere arcobaleni.

Uomini e donne in piedi, a testa alta, occhi nel sole: così vede i discepoli il Vangelo. Allora il nostro compito è di sentirci parte dell’intero creato, avvolti da una energia più grande di noi, connessi a una storia immensa, dove anche la mia piccola vicenda è preziosa e potente.

Gesù chiede ai suoi leggerezza e attenzione, per leggere la storia come un grembo di nascite. Chiede attenzione ai piccoli dettagli della vita e a ciò che ci supera infinitamente.

Chiede un cuore leggero e attento, per vegliare sui germogli, su ciò che spunta, sul nuovo che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce che si disegna sul muro della notte o della pandemia, sui primi vagiti della vita e dei suoi germogli.

Il Vangelo ci consegna questa vocazione a una duplice attenzione: alla vita e all’infinito. La vita è dentro l’infinito e l’infinito è dentro la vita; l’eterno brilla nell’istante e l’istante si insinua nell’eterno.

In un Avvento senza fine. Buon cammino!

don Alfredo Di Stefano

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2024 – Echi di Vita N°47 – LA REGALITA’ DI CRISTO E’ PIENEZZA DI UMANO

Due uomini, Pilato e Gesù, uno di fronte all’altro.

Il confronto di due poteri opposti: Pilato, circondato di legionari armati, è dipendente dalle sue paure; Gesù, libero e disarmato, dipende solo da ciò in cui crede.
Un potere si fonda sulla verità delle armi e della forza, l’altro sulla forza della verità. Chi dei due uomini è più libero, chi è più uomo?
È libero chi dipende solo da ciò che ama. Chi la verità ha reso libero, senza maschere e senza paure, uomo regale.

 Dunque tu sei re? Il mio regno però non è di questo mondo.

Gesù rilancia la differenza cristiana consegnata ai discepoli: voi siete nel mondo, ma non del mondo. I grandi della terra dominano e si impongono, tra voi non sia così. Il suo regno è differente non perché riguardi l’al di là, ma perché propone la trasformazione di «questo mondo».

     I regni della terra si combattono, i miei servi avrebbero combattuto per me: il potere di quaggiù ha l’anima della guerra, si nutre di violenza. Invece Gesù non ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Dove si fa violenza, dove si abusa, dove il potere, il denaro e l’io sono aggressivi e voraci, Gesù dice: non passa di qui il mio regno.

I servi dei re combattono per i loro signori. Nel suo regno no! Anzi è il re che si fa servitore dei suoi: non sono venuto per essere servito, ma per servire. Un re che non spezza nessuno, spezza se stesso, non versa il sangue di nessuno, versa il suo sangue, non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi.

 

Pilato non può capire, si limita all’affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l’iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei. Che io ho sconfitto.

Ed è stato involontario profeta: perché il re è visibile proprio lì, sulla croce, con le braccia aperte, dove l’altro conta più della tua vita, dove si dona tutto e non si prende niente. Dove si muore ostinatamente amando. Questo è il modo regale di abitare la terra, prendendosene cura.

Pilato poco dopo questo dialogo esce fuori con Gesù e lo presenta alla folla: ecco l’uomo.

Affacciato al balcone della piazza, al balcone dell’universo lo presenta all’umanità: ecco l’uomo!

L’uomo più vero, il più autentico degli uomini. Il re. Libero come nessuno, amore come nessuno, vero come nessuno. La regalità di Cristo non è potere ma pienezza d’umano, accrescimento di vita, intensificazione d’umanità. A questo vogliamo guardare in questo Giubileo!

don Alfredo Di Stefano

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