Author : E. Redazione

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La Festa del Catechismo

Domenica 25 settembre è iniziato l’anno catechistico per i bambini e i ragazzi della nostra parrocchia. Sul sagrato della Chiesa di San Lorenzo martire, alle ore 10,00, si sono aperte le iscrizioni.

Un grande libro campeggiava sul lato sinistro della facciata della Chiesa con delle immagini di bambini e il messaggio evangelico “LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME” .

Don Alfredo durante la celebrazione eucaristica ha salutato gioiosamente le famiglie presenti, ricordando a tutti gli impegni del nuovo anno. Ha preso spunto dal messaggio del libro  per sottolineare quanto sia importante lasciare che i ragazzi continuino a percorrere la strada della fede e della conoscenza di Dio.

Emozionante per noi catechiste è stato il momento del mandato e della benedizione. Intorno all’altare abbiamo rinnovato il nostro impegno a seguire i fanciulli che ci verranno affidati.

Il pomeriggio alle ore 15,30 ci siamo ritrovati con le famiglie per condividere presso il Parco fluviale un momento di festa. Un animatore/mago ha allietato i ragazzi con giochi, piccole magie ed animazioni, che hanno coinvolto le mamme, i papà, le catechiste e lo stesso don Alfredo. Al termine un ricco buffet di dolci ha accompagnato i saluti. Buon anno catechistico a tutti!

Cristina Piedimonte

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Echi Di Vita N°58 – LA FEDE: UN NIENTE CHE E’ TUTTO

Accresci in noi la fede, o non ce la faremo mai! Una preghiera dei discepoli che esperimentano la fatica di amare e di perdonare.
Cosa è la fede? La fede è la libera risposta dell’uomo alla proposta di Dio. Non è questione di quantità, ne basta poca, meno di poca, per ottenere risultati impensabili: se aveste fede come
un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati…
Gesù sceglie di parlare del mondo interiore e misterioso della fede usando le parole di tutti i giorni, rivela il volto di Dio scegliendo il registro delle briciole, del pizzico di lievito, della fogliolina
di fico, del bambino in mezzo ai grandi. È la logica dell’Incarnazione che continua, quella di un Dio che da onnipotente si è fatto fragile, da eterno si è perduto dentro il fluire dei
giorni.
La fede è rivelata dal più piccolo di tutti i semi e poi dalla visione grandiosa di foreste che volano verso i confini del mare. La fede ha la forza di sradicare gelsi e la leggerezza di un seme
che si schiude nel silenzio.
Quante volte abbiano visto imprese che sembravano impossibili: madri e padri risorgere dopo drammi atroci, disabili con occhi luminosi come stelle, missionari salvare migliaia di bambini-soldati…
Un granello: non la fede sicura e spavalda ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.
Il Vangelo termina poi con una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, chiusa da tre parole spiazzanti: siamo servi inutili. Servi inutili non perché non servono a niente, ma, secondo la radice della parola, perché non cercano il proprio utile, non avanzano rivendicazioni o pretese.
Loro gioia è servire la vita.
Una vita che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.
Inutili perché la forza che fa germogliare il seme non viene dalle mani del seminatore, l’energia non sta nel predicatore, ma nella Parola.
Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore!

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Echi Di Vita N°57 – IL VANGELO COME SORGENTE…

C’era una volta un ricco… la parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro inizia come una favola: c’è uno che si gode la vita, un superficiale spensierato, al quale ben presto la vita stessa presenterà il conto. Il cuore della parabola sta in un capovolgimento di situazioni: chi patisce in terra godrà nel cielo e chi gode in questa vita soffrirà nell’altra.
C’è una distanza: uno affamato e l’altro sazio, uno in salute e l’altro coperto di piaghe, uno che vive in strada l’altro al sicuro in una bella casa.
Il ricco poteva colmare la distanza che lo separava dal povero e invece l’ha ratificata e resa eterno. L’eternità inizia quaggiù, l’inferno non sarà la sentenza improvvisa di un despota, ma la lenta maturazione delle nostre scelte senza cuore.
Che cosa ha fatto il ricco di male? La parabola non si leva contro la cultura della bella casa, del ben vestire, non condanna la buona tavola. Il ricco non ha neppure infierito sul povero, non lo ha umiliato, forse era perfino uno che osservava tutti i dieci comandamenti. Lo sbaglio della sua vita è di non essersi neppure accorto dell’esistenza di Lazzaro. Non lo vede, non gli parla, non lo tocca: Lazzaro non esiste, non c’è, non lo riguarda.
Il male è l’indifferenza, lasciare intatto la distanza fra le persone. Invece il primo miracolo è accorgersi che l’altro, il povero esiste, e cercare di colmare l’abisso di ingiustizia che ci separa.
Dove è Dio in tale situazione? E’ lì presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazzaro e a ricordarle per sempre, tutte le parole, ogni singolo gesto di cura, tutto ciò che poteva regalare a quel naufrago, di ieri e di oggi, una vita degna e piena di rispetto, riportare quell’uomo fra gli uomini, fallo sentire tale, lui che era diventato un’ombra tra i cani. Il cammino della fede inizia sempre dalle piaghe del povero che è la carne di Cristo, tessuto della vita ecclesiale.
Ritorniamo a colmare le distanze tra di noi e con gli altri!

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I TRE GIORNI AL CASTELLO NEL NOME DI MARIA

Da 10 a 100! Così è stato il “crescendo” di questi giorni di festa su al Castello: eravamo solo in dieci a recitare il Rosario sabato mattina, compresa la Signora Valentina, perfetta “padrona di casa”, che ci ha accompagnato giorno dopo giorno, momento per momento, fino alla fiaccolata di lunedì sera che avrà contato almeno 100 fedeli.

Ma non è sui numeri che vogliamo puntare, bensì sul senso di queste presenze, che dicono la fede, l’affetto, la riconoscenza e, perché no?, la devozione degli Isolani alla Madonna delle Grazie.

Quanti occhi si sono rivolti a quell’immagine un po’ consumata dal tempo ma intensa nel suo significato! La Vergine Maria in trono, circondata da un volo di Angeli, con il braccio sinistro regge il piccolo Gesù, teneramente aggrappato alla sua veste e nella mano destra stringe un libro. Ed un libro è anche tra le mani dei due Santi in piedi ai lati della Vergine, S. Tommaso d’Aquino a sinistra e S. Domenico di Guzman a destra, mentre –meno visibile-  alla base del trono è raffigurato ancora il Santo aquinate che insegna all’Università di Parigi. Questa tela seicentesca, definita la Madonna della Sapienza, copre il più antico affresco del ‘400 –forse deteriorato- della Madonna delle Grazie.

Anche un’altra scena ci piace ricordare per il forte insegnamento: quella del duca Giacomo Boncompagni, che, affacciato ogni sera al balcone del Castello, guardava i comignoli fumanti giù in paese e, se ne vedeva qualcuno spento, subito mandava i suoi servi a portare da mangiare a quella povera famiglia. Che bontà! Che sollecitudine! Quanta attenzione agli altri!

Ma torniamo alla cronaca spicciola di questi tre giorni. Nella celebrazione di sabato sera c’è stato un momento toccante, quando don Alfredo ha benedetto le quattro mamme in attesa di un figlio.

Così domenica pomeriggio, malgrado la pioggia incessante, una decina di bambini con le mamme, qualche papà, alcune catechiste e il parroco sono saliti nel primo pomeriggio al Castello per ripercorrere nella preghiera il cammino di Maria dall’annuncio dell’Angelo fino al giorno di Pentecoste. E al termine, smessa per un momento la pioggia, hanno saltellato nel parco fingendosi (o credendosi) essi stessi “principi” e “principesse”.

Da qui è stato un crescendo di partecipazione alle celebrazioni, dalla Messa vespertina della domenica a quella del lunedì mattina fino ad avere il pienone la sera dentro e fuori la cappella, quando con le fiaccole accese e sgranando il Rosario, abbiamo attraversato il Parco cercando di cogliere nel silenzio, come ci ha suggerito don Alfredo, la voce della natura –stormir di fronde, calpestio di piedi, fluire dell’acqua, scroscio della cascata… Fermi sul ponte che sovrasta il fiume, proprio nel punto in cui si biforca, abbiamo atteso la benedizione della città che, se dormiva, è stata svegliata dai fuochi d’artificio.

Nel pregare sommesso delle Ave Maria, siamo giunti alla grotta di Lourdes per un’ultima invocazione alla Vergine ed un ringraziamento a chi –anche in questo caso il numero va da 1 a 100-  ha reso bella questa festa.

LUCIANA COSTANTINI

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Echi Di Vita N°56 – FATEVI DEGLI AMICI

La parabola del fattore infedele si chiude con un messaggio sorprendente: l’uomo ricco loda il suo truffatore. Sorpreso a rubare, l’amministratore capisce che verrà licenziato e allora escogita un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell’amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei loro debiti.
Con questa scelta, inconsapevolmente, egli fa ciò che Dio fa verso ogni uomo: dona e perdona, rimette i nostri debiti. Così da malfattore diventa benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai debitori.
Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la direzione del denaro, che non va più verso l’accumulo ma verso il dono, non genera più esclusione ma amicizia.
Il Vangelo: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne. Fatevi degli amici. Amicizia diventata comandamento, umanissimo
e gioioso, elevata a progetto di vita. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro.
Amici che vi accolgano nella casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio riconoscente si annuncerà l’abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dalle nostre scelte di vita.
Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Il denaro e ogni altro bene materiale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell’amore e nella amicizia.
Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli idoli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre intime dell’umano, mangiano il cuore. Non coltivi più le amicizie, perdi gli amici, li abbandoni o li sfrutti, oppure saranno loro a sfruttare la situazione.
Il Vangelo esorta a recuperare valori come la sobrietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l’accumulo, ma l’amicizia, per far crescere in tutti la vita buona.

 

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Echi Di Vita N°55 – DIO NON GUARDA ALLA NOSTRA COLPA…

Da dove questo misterioso legame tra Gesù e i peccatori, che scandalizzava scribi e sacerdoti?

Ecco, allora, le tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.

Ecco allora la passione del pastore.

Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all’ovile, se ne sta allontanando; il pastore non la punisce, è viva e tanto basta.

E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno.

Dio è amico della vita.

La pena di un Dio per chi ha perso una moneta, che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto e troverà il suo tesoro, la scoverà sotto la polvere raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche noi, sotto i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un frammento d’oro.

Un padre che non ha figli da perdere e, se ne perde uno solo, la sua casa è vuota. Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.

Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso “crescendo”.

L’ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra. Sono io l’amato perduto. Dio è in cerca di me. Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.

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San Lorenzo Martire ® - 2016 09 03 - Echi di VITA - N 54 - Splash

Echi Di Vita N°54 – IN CRISTO PIU’ LIBERTA’ …

Gesù, sempre spiazzante nelle sue proposte, indica tre condizioni per seguirlo.
La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull’amore. Lo fa con parole che sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti, la prima felicità di questa vita. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non mi “ama di più”. Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione.

Gesù non sottrae amori, aggiunge un “di più”. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare.

La seconda: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me. Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace. Nel Vangelo “croce” contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce.

La terza: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è un sacrificio, ma un atto di libertà: esci dall’ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: “io ho, accumulo, e quindi sono e valgo. Un uomo vale quanto vale il suo cuore”.

Non lasciarti risucchiare dalle cose: la tua vita non dipende dai tuoi beni. Lascia le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare bene.

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Misericordes Sicut Pater

Sabato 27 agosto, sul sagrato della chiesa di San Lorenzo M., i giovani , le ragazze e le bambine del progetto educativo La Briciola hanno rappresentato “Misericordes sicut Pater”, uno spettacolo basato sul racconto biblico di Giuseppe ma rielaborato per interrogarsi sul significato della misericordia nella società di oggi. Usando le tecniche del teatro e della danza si è dato forma alle riflessioni maturate durante i pomeriggi trascorsi insieme: pietà, perdono, comprensione; ma anche tentazione di vendetta e reazioni violente.

Il numeroso pubblico ha applaudito le giovani “attrici” e “danzatrici” che, negli ultimi giorni di questa estate, hanno messo a disposizione il loro impegno e le loro capacità per raccontare quanto è difficile ma anche quanto è bello “perdonarsi”, “dialogare”, “accogliersi”, “sostenersi” … .

 

La voce ai protagonisti

 

Noi ragazze di 7 e 8 anni ci siamo divertite ad accompagnare i mercanti con un balletto che ricordava tanto un mercato: ci sono piaciute le gonne “girandolose”, i cesti pieni di legumi, frutta e peperoncini; ci sono piaciute le acconciature con i nastri tra i capelli ed il trucco.

Danzare insieme è stato difficile, perché la paura di sbagliare era tanta, ma il divertimento l’ha superata.

Questa esperienza ci ha sicuramente aiutato a diventare più amiche.

(Le danzatrici del mercato)

 

Anche se per alcune di noi è stata la prima volta su un palcoscenico, ci siamo divertite molto ad interpretare il ruolo dei mercanti. E’ stato stimolante ed istruttivo anche se difficile è stato immedesimarsi nel personaggio. In quanto mercanti abbiamo acquistato e venduto Giuseppe non senza difficoltà e così abbiamo capito che fare affari non è il nostro forte.

La storia di Giuseppe ci ha ricordato che ancora oggi ci sono persone che vengono vendute come se fossero oggetti e spesso noi non ce ne accorgiamo. Speriamo che anche a loro, come è stato per Giuseppe, venga offerta l’opportunità di una vita migliore.

(I mercanti)

 

Mi sono divertita tanto.

E’ stato uno spettacolo coraggioso.

Siamo state molto brave e il pubblico si è divertito.

Prima di salire sul sagrato eravamo tutte eccitate all’idea di recitare e ballare.

Lo spettacolo mi è piaciuto perché ci ha fatto capire il significato della misericordia e del perdono.

E’ stata un’esperienza bellissima, educativa ed interessante.

E’ stato uno spettacolo indimenticabile e spero di rivivere questa emozione.

               (Il corpo di ballo del faraone)

 

Noi ragazze un po’ più “grandi” abbiamo interpretato attraverso la danza ruoli impegnativi: paura, misericordia, vendetta. Spesso queste sono emozioni difficili da trasmettere agli altri ma grazie all’impegno, alla fatica e all’unione delle nostre forze e delle nostre menti, abbiamo raggiunto l’obiettivo. Ci siamo emozionate nel rappresentare la misericordia e la vendetta con un passo a due. Abbiamo cercato di far capire come spesso i sentimenti di ogni uomo oscillino tra il bene e il male.

(Le danzatrici)

 

Noi avevamo il compito di presentare a Giuseppe le paure ed i problemi che ogni giorno affliggono l’umanità. E’ stato uno spettacolo impegnativo perché abbiamo dovuto lavorare sulla voce e sull’espressione per far capire il messaggio centrale: la misericordia di Giuseppe che perdona i fratelli nonostante il male subito. Alla fine con fatica, con un po’ di stanchezza ma con tanta gioia ed entusiasmo ce l’abbiamo fatta.

                           (Il popolo)

 

Rosso, giallo, verde, nero e azzurro i colori dei nostri costumi non erano solo colori scelti a caso ma richiamavano quelli dei cinque continenti perché l’odio e l’invidia nei confronti dell’altro appartengono a tutti i popoli del mondo. Il linguaggio dei “bulli” nonostante le epoche e le differenti lingue è sempre uguale a sé stesso. Il costume bianco indossato da Giuseppe, oltre a rappresentare la misericordia, voleva evocare il bene ed il male che si celano nel cuore di ogni essere umano. Nella mente di Giuseppe si affollano pensieri contrastanti: stordito dagli eventi egli  è costretto a subire il frutto della sua indecisione, ma nel momento in cui si troverà dinanzi ad una scelta deciderà di percorrere la via che permette la rivelazione del divino anche nell’uomo, vale a dire il perdono.

(Giuseppe e i fratelli)

 

Così come sul palco l’emozione era palpabile,  anche dietro le quinte si respirava l’agitazione dell’entrata in scena imminente: a partire dai più grandi fino ai più piccoli l’impegno si è mostrato attraverso l’attenzione a ciò che accadeva quando non si era direttamente coinvolti. Il sostegno reciproco e l’impegno nella riuscita di tutto il gruppo sono un’esperienza che ci auguriamo provino tutti almeno una volta nella vita.

 

(Dietro le quinte)

La voce del pubblico

 

L’incontro  con “La Briciola”(Progetto educativo estate 2016) e’ stato quello con una realtà in cui la Parola prende corpo e si fa vita, azione, esperienza di Amore,  di solidarietà…di fratellanza.

Briciole di…. Misericordia, donate gratuitamente a tante famiglie attraverso i propri figli. Spazi aperti, pomeriggi impegnati, sorrisi rasserenanti sempre, esempi di grande umanità e di accoglienza del fratello, dono prezioso per le nostre bambine e per i giovani che hanno collaborato alla realizzazione di questo progetto delle Piccole Francescane della Chiesa. Un’ estate gioiosa, ricca di voci allegre, di canti, di balli, di mamme e di papà…di famiglie, di incontri, di salti con la corda, di merende condivise, di tante indispensabili “briciole” di …Amore.

A conclusione di questa esperienza, la messa in scena del passo biblico in cui Giuseppe viene venduto dai fratelli, a dirci che la fraternità non si costruisce solo sull’ affinità, non con ciò che ci accomuna e ci avvicina, quanto con quello che ci divide. Dove  si manifestano alterita’ e differenze ed i rapporti appaiono esposti alla dinamica della gelosia,  dell’ invidia, della paura, la fraternità e’ il luogo delle relazioni faticose. Il testo ci invita a riflettere sul valore della diversità come spazio dell’ incontro attraverso il dono di se’, spazio in cui non esistono invidia e gelosia.Essere fratello significa riconoscere una nuova identità personale che la vita fraterna ci dona di vivere. La storia di Giuseppe indica a tutti noi la possibilità del perdono, della fraternità attraverso la prova. Ed in tutto questo non siamo soli, c’ e’ una forza misteriosa che indirizza verso la retta via la libertà degli uomini:e’ Dio!

(C. C., una mamma )

 

Anche quest’anno a conclusione del progetto educativo per questa estate , La Briciola ha offerto uno spettacolo conclusivo del cammino intrapreso. Imperniato sulla storia biblica di Giuseppe,  figlio di Giacobbe, la rappresentazione ha ripreso il motto del Giubileo Misericordes sicut Pater  (Misericordiosi come il Padre, Lc 6,36) utilizzandolo come titolo della rielaborazione biblica e offrendolo come spunto di riflessione in un momento storico in cui si è sempre più presi ed accecati dal proprio egoismo e in cui,  come dice S. E. Mons. Paul Poupard, si è confusi tra una pietà condiscendente, il disprezzo e l’odio e si ha sete di vera tenerezza, una tenerezza che sia il riflesso e la promessa della tenerezza di Dio.

In un improbabile Egitto  popolato da body guard e “furbetti del quartierino” pronti a godere di molti privilegi a scapito dei più deboli e pronti a chiedere, ieri come oggi, favori ai potenti, ecco che il vecchio testamento si intreccia con il nuovo ed insieme si intessono  con il mondo moderno in cui l’intolleranza  verso il più debole è rimasta uguale nel corso dei secoli.  Al suono di una Pizzica salentina, nel luogo in cui verrà venduto Giuseppe, mercanti  posseduti da niente e da nessuno  si radunano a centinaia,  ballando, mostrando merci e cercando di entrare in una trance dove esiste solo l’interesse personale della vendita  dalla quale  si esce apparentemente soddisfatti ma storditi.

La prima scena si apre sul protagonista e sui suoi fratelli che  nella rielaborazione da undici sono ridotti a cinque quanti sono i continenti del mondo che essi rappresentano con i colori delle loro vesti: verde per l’ Europa, nero per l’Africa rosso per le Americhe e blu per l’Oceania,  quasi a sottolineare l’incapacità “del mondo intero” di accettare di buon grado qualcuno che possa far “sfigurare” perché migliore di noi. Figlio prediletto di Giacobbe, odiato dai fratelli ingelositi da tanta predilezione, Giuseppe viene da essi tradito e venduto. Ora, sappiamo bene che quando subiamo un’offesa, un insulto o un’ingiustizia proviamo immediatamente emozioni negative di rabbia, risentimento, disappunto e il comportamento che più frequentemente mettiamo in atto è quello di vendicarci per il torto subito. Nello spettacolo  la nera vendetta danza insieme alla bianca misericordia angustiando il ragazzo tradito dal suo stesso sangue. Giuseppe è tormentato ma sceglie di ascoltare il suo cuore ed ecco che il suo perdono diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso di Dio. Il figlio prediletto di Giacobbe ci mostra che il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore e che lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta ci mette nelle  condizioni necessarie per vivere felici. Il giovane sa che perdonare è l’arma vincente e che esprimere il proprio amore in modo incondizionato paga sempre poiché  la vendetta e la volontà di rivalsa non portano ad un risarcimento dal torto subito e  non aiutano ad alleviare il dolore provato nell’aver subito un’ingiustizia.  Il perdono secondo Giuseppe è la ricchezza più grande che si possa possedere, è il  tema centrale di tutta la storia e non è visto come semplice alternativa buona alla vendetta ma come  sentimento da costruire e da alimentare quotidianamente.

“Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre Vostro”. Questa direttiva che il Signore ha dato ai suoi discepoli nel Vangelo e che San Luca ha raccolto è un invito ad essere “…dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5, 48). La scena finale  chiude lo spettacolo sull’inno dell’anno  giubilare, questa volta non solo strumentale come nelle scene precedenti, ma cantato con le sue prime tre strofe rivolte rispettivamente  al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, in altre parole, a Dio! Misericordes sicut Pater e arrivederci, a Lui piacendo,  alla prossima Briciola!

(S. P., una spettatrice)

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ECHI DI VITA N°53

Echi Di Vita N°53 – NON CERCARE IL PAREGGIO TRA IL DARE E L’AVERE

C’è un incrociarsi di sguardi in quella sala che è la metafora della vita: conquistare i primi posti, competere, illusi che vivere sia vincere, prevalere, ottenere il proprio appagamento.

Gesù propone un’altra logica: Tu vai a metterti all’ultimo posto.

L’ultimo posto non è un castigo, è il posto di Dio, il posto di Gesù, venuto non per essere servito, ma per servire; è il posto di chi ama di più, di chi fa spazio agli altri.

Amico, vieni più su, dirà allora l’ospite. A colui che ha scelto di stare in fondo alla sala è riservato questo nome: amico. Amico di Dio e degli altri.

Quando offri una cena, non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti; non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell’eterna illusione del pareggio contabile tra dare e avere.

Quando offri una cena, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Ecco di nuovo quattro gradini che ti portano oltre il cerchio della famiglia e degli affetti, oltre la gratificazione della reciprocità, che aprono finestre su di un mondo nuovo: dare in perdita, dare per primo, dare senza contraccambio.

E sarai beato perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere, come molti, come forse tutti abbiamo sperimentato.

E sarai beato perché agisci come agisce Dio, come chi impara l’amore senza calcolo, che solo fa ripartire il motore della vita: assicurati che non possano restituirti niente!!!!

Guardiamo alla comunità parrocchiale, ove la forza del Vangelo è sempre un nuovo modo per vedere la realtà della vita, il luogo dove tutto si può dare per ricevere molto da Dio.

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ECHI DI VITA N°52

Echi Di Vita N°52 – LA PORTA STRETTA E’ PER TUTTI…

Due immagini forti: una porta stretta e davanti ad essa una folla che si accalca e preme per entrare.

Poi, quella soglia stretta, immersi in un’atmosfera di festa, in una calca multicolore e multietnica: verranno da oriente e da occidente, da nord e da sud e siederanno a mensa…
La porta stretta ci fa pensare a sacrifici e fatiche. Ma il Vangelo non dice questo.

La porta è stretta, vale a dire a misura di bambino e di povero: “se non sarete come bambini non entrerete…”

La porta è piccola, come i piccoli che sono casa di Dio: “tutto ciò che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me”. Perché nessuno si salva da sé, ma tutti possiamo essere salvati da Dio. Non per i nostri meriti ma per la sua bontà, per la porta santa che è la sua misericordia. Lo dice il verbo “salvarsi” che nel vangelo è al passivo, un passivo divino, dove il soggetto è sempre Dio.

Quando la porta da aperta si fa chiusa, inizia la crisi dei “buoni”. Abbiamo mangiato alla tua presenza (allusione all’Eucaristia), hai insegnato nelle nostre piazze (conosciamo il Vangelo e il catechismo), perché non apri? Non so di dove siete, voi venite da un mondo che non è il mio.

Non basta mangiare Gesù, che è pane, occorre farsi pane per gli altri. Non basta essere credenti, dobbiamo essere credibili. La misura è nella vita. la fede vera si mostra non da come uno parla di Dio, ma da come parla e agisce nella vita.

Tutti possono passare per le porte sante di Dio. Il sogno di Dio è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza.
È possibile per tutti vivere meglio, e Gesù ne possiede la chiave.

Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo, variopinti clandestini del regno, arrivati ultimi e per lui considerati primi.