Author : E. Redazione

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 51

Echi Di Vita N°51 – CHIAMATI A ESSERE TESTIMONI DI LUCE

Venne Giovanni mandato da Dio, venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce. Ad una cosa sola il profeta rende testimonianza: non alla grandezza, alla maestà, alla potenza di Dio, ma alla luce. Ed è subito la positività del Vangelo che fiorisce. Che la storia è una via crucis ma anche una via lucis che prende avvio quando, nei momenti oscuri che mi circondano, io ho il coraggio di fissare lo sguardo sulla linea mattinale della luce che sta sorgendo, che sembra minoritaria eppure è vincente, sui primi passi della bontà e della giustizia.

Ad ogni credente è affidato il ministero profetico del Battista, quello di essere annunciatore non del degrado, dello sfascio, del peccato, che pure assedia il mondo, ma testimone di speranza e di futuro, di sole possibile, di un Dio sconosciuto e inna-morato
che è in mezzo a noi, guaritore delle vite. E mi copre col suo manto dice Isaia, e farà germogliare una primavera di giustizia, una primavera che credevamo impossibile. Per tre volte domandano a Giovanni: Tu, chi sei? Il profeta risponde alla domanda di identità con tre ‘no’, che introducono il ‘sì’ finale: io sono Voce. Egli trova la sua identità in rapporto a Dio: Io sono voce, la parola è un Altro. Io sono voce, trasparenza di qualcosa che viene da oltre, eco di parole che vengono da prima
di me, che saranno dopo di me.

Chi sei tu? È rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta è come in Giovanni, nello sfrondare da apparenze e illusioni la nostra vita. Io non sono l’uomo prestigioso che vorrei essere ne il fallito che temo di essere. Io non sono ciò che gli altri credono di me, né un santo, né solo peccatore. Io non sono il mio ruolo o la mia immagine. La mia identità ultima è Dio. L’uomo non è quell’acqua, ma senza di essa non è più. Così noi, senza Dio. E venne un uomo mandato da Dio. Anch’io sono un uomo mandato da Dio, anch’io testimone di luce, ognuno un profeta dove si condensa una sillaba del Verbo.

Chi sono veramente? Un giorno Gesù darà la risposta, e sarà la più bella definizione dell’uomo: Voi siete luce! Luce del mondo.

Don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 50

Echi Di Vita N°50 – LETTERA ALLA COMUNITÀ PER LA FESTA DELLA MADONNA DI LORETO 2017

Carissimi,
l’annuale celebrazione della festa della nostra Patrona, è sempre un momento importante e un’occasione propizia per guardare alla nostra Città con intelligenza e con fede.

La nostra Chiesa e la nostra Città si sono sempre sentite sicure dell’intercessione della Madonna di Loreto tanto che il 7 Febbraio 1830 il Decurionato di Isola deliberò sulla scelta di avere la Madonna di Loreto come speciale e vera protettrice celebrandone ogni anno la festa solenne.

La tradizione ci parla di angeli che hanno trasportato in volo la casa di Nazareth fin nelle nostre terre. Forse non è andata proprio così, ma questo episodio ci suggerisce una riflessione.

Maria, giovane donna che probabilmente non si era mai mossa da Nazareth, subito dopo l’annuncio dell’arcangelo Gabriele, avendo saputo della cugina Elisabetta, si mise ‘in fretta’ in viaggio per andare da lei. Un cammino a piedi non facile e non privo di pericoli, lungo i sentieri tortuosi e polverosi del tempo, percorsi, forse, dalle carovane dei commercianti orientali. Da quell’incontro con l’arcangelo Gabriele incomincia per lei una vita di movimento.

Da qui la Chiesa è icona di un cammino mai concluso, sempre aperto al futuro, un cammino, faticoso, forse, ma bello perché abbraccia gli altri e ci pone accanto a ciascuno. In questa occasione mi piace scrivervi una lettera per dar voce alle tante domande di verità e di vita che sgorgano dal cuore della nostra gente, incontrata ed ascoltata quotidianamente nel corso di questi due anni di ministero ad Isola del Liri.

Do’ voce, innanzitutto, alle tante domande di speranza e di futuro, che abitano il cuore dei nostri giovani, stanchi dell’impossibilità a progettare la loro vita, perché tormentati da prospettive sempre più cupe e deludenti.

Do’ voce alle troppe domande di disincanto e di paura di chi ha perso la fiducia e la pazienza perché non riesce più a lottare per la sopravvivenza.

Do’ voce a quanti, in questa nostra Città, chiedono a tutti, credenti e non, ancor prima che al Signore o alla nostra Celeste Patrona, di essere ‘consolati’, nel senso letterale dell’etimo latino, cioè di non essere lasciati soli nel difficile percorso della vita.
Faccio mie le parole di Papa Francesco, pronunciate al Sacrario militare di Redipuglia: “la cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… generano solo la risposta di Caino: ‘A me che importa? Sono forse io il custode di mio fratello?’ (Gen 4,9)”. Noi non possiamo ripetere la risposta di Caino! Noi non vogliamo ripetere: ‘a me che importa?’

Ascoltare, consolare, assumersi le proprie responsabilità vuol dire guardare all’uomo riconoscendo in lui la dignità di essere persona e non un numero da sommare ad altri.

Per noi credenti, si tratta di coniugare la grammatica della fede con l’alfabeto della vita, perché una fede disincarnata o fatta solo di pie devozioni, non è fede. Essa deve profumare di Vangelo e tradursi in buona prassi di vita, misurandosi con le sfide di un mondo che cambia.

E’ necessario che un concetto oggettivo di bene animi ogni azione a favore della nostra Città, ponendo a suo fondamento il valore del bene, quello oggettivo e non quello egoistico dell’interesse personale.

Per questo dobbiamo far crescere la consapevolezza che tutti noi e ciascuno di noi può offrire alla Città il proprio umile servizio, perché tutti abbiamo a cuore l’uomo, soprattutto chi di più necessita della rigenerante e consolante parola del perdono e della misericordia.

Mi chiedo e vi chiedo: A chi giova se ci screditiamo a vicenda? Chi diventa migliore se lasciamo scendere ombre sulla pulizia e l’onestà di tutti, uomini e donne, famiglie, istituzioni civili e chiesa compresa? Che futuro di speranza diamo ai nostri giovani, se li educhiamo a… sospettare di tutto e di tutti?

Aiutiamoci, invece, in questo nobile ma difficile processo educativo che è, innanzitutto, un cammino di conversione al Vangelo di Gesù! Chiediamolo, come dono particolare, alla nostra Patrona, la Madonna di Loreto, da sempre venerata come Avvocata del popolo Isolano.

E tu, dolce Madre, volgi il tuo sguardo su questa tua e nostra città, sulla nostra gente, sulle famiglie, sugli anziani sempre più soli, sui poveri e, soprattutto, sui giovani!

Guardaci con tenerezza, Maria, come solo una Madre sa fare! Guardaci, benedicici, incoraggiaci, proteggici e custodiscici! Amen
Isola del Liri, 10 Dicembre 2017

Don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 49

Echi Di Vita N°49 – AVVENTO, TEMPO DI ATTESA E ATTENZIONE: DIO SI FA PIÙ VICINO!

Attesa e attenzione, i due nomi dell’Avvento, hanno al medesima radice: tendere a, rivolgere mente e cuore verso qualcosa, che manca e che si fa vicino e cresce. Sono le madri quelle che conoscono a fondo l’attesa, che la imparano nei nove mesi che il loro ventre lievita di vita nuova. Attendere è l’infinito del verbo amare.

Avvento è un tempo di incamminati! Nel Vangelo di oggi il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi, a ciascuno il suo compito (Marco 13,34). Una costante di molte parabole, dove Gesù racconta il volto di un Dio che mette il mondo nelle nostre mani, che affida le sue creature all’intelligenza fedele e alla tenerezza combattiva dell’uomo.

Ma un doppio rischio preme su di noi. Il primo, dice Isaia, è quello del cuore duro: perché lasci indurire il nostro cuore lontano da te? (Is 63,17). La durezza del cuore è la malattia che Gesù teme di più, la “sclerocardìa” che combatte nei farisei, che intende con tutto se stesso curare e guarire. Il secondo rischio è vivere una vita addormentata: che non giunga l’atteso all’improvviso
trovandovi addormentati (Marco 13,36).

Rischio quotidiano è una vita dormiente, una vita distratta e senza attenzione.

Vivere attenti. Ma a che cosa? Attenti alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute, ad ogni offerta di tenerezza, alla bellezza del loro essere vite incinte di Dio. Attenti al territorio. Attenti a ciò che accade nel cuore e nel piccolo spazio di realtà in cui mi muovo.

Noi siamo argilla nelle tue mani. Tu sei colui che ci dà forma (Isaia 64,7). Il profeta invita a percepire il calore, il vigore, la carezza delle mani di Dio che ogni giorno, in una creazione instancabile, ci plasma e ci dà forma; che non ci butta mai via, se il nostro vaso riesce male, ma ci rimette di nuovo sul tornio del vasaio. Questa è la fiducia che l’Avvento imprime in ognuno e in tutti.

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 48

Echi Di Vita N°48 – IL PECCATO PIÙ GRANDE? SMARRIRE LO SGUARDO DI DIO!

Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere… Dal Vangelo emerge un fatto straordinario: lo sguardo di Gesù si posa sempre, in primo luogo, sul bisogno dell’uomo, sulla sua povertà e fragilità. E dopo la povertà, il suo sguardo va alla ricerca del bene che circola nelle vite: mi hai dato pane, acqua, un sorso di vita, e non già, come ci saremmo aspettati, alla ricerca dei peccati e degli errori dell’uomo. Ed elenca sei opere buone che rispondono alla domanda su cui si regge tutta la Bibbia: che cosa hai fatto di tuo fratello?

Quelli che Gesù evidenzia non sono grandi gesti, ma gesti potenti, perché fanno vivere, perché nascono da chi ha lo stesso sguardo di Dio. Grandioso capovolgimento di prospettive:

Dio non guarda il peccato commesso, ma il bene fatto. Sulle bilance di Dio il bene pesa di più.

Ed ecco il giudizio: che cosa rimane quando non rimane più niente? Rimane l’amore, dato e ricevuto. In questa scena potente e drammatica, che poi è lo svelamento della verità ultima del vivere, Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare fino a identificarsi con loro: quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l’avete fatto a me!

 

Gli uomini e le donne sono la carne di Cristo. Finché ce ne sarà uno solo ancora sofferente, lui sarà sofferente. Nella seconda parte del racconto ci sono quelli mandati via, perché condannati. Che male hanno commesso? Il loro peccato è non aver fatto niente di bene. Non sono stati cattivi o violenti, non hanno aggiunto male su male, non hanno odiato: semplicemente non hanno fatto nulla per i piccoli della terra, indifferenti.

Non basta essere buoni solo interiormente e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra.

Non impegnarsi per il bene comune, per chi ha fame o patisce ingiustizia, stare a guardare, è già farsi complici del male, della corruzione, del peccato sociale, delle mafie.

Il contrario esatto dell’amore non è allora l’odio, ma l’indifferenza, che riduce al nulla il fratello: non lo vedi, non esiste, per te è un morto che cammina. Il male più grande è aver smarrito lo sguardo, l’attenzione, il cuore di Dio fra noi!

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 47

Echi Di Vita N°47 – UN INVITO ALLA RESPONSABILITÀ E A NON AVERE PAURA DELLA VITA!

Dai protagonisti della parabola emergono due visioni opposte della vita: l’esistenza, e i talenti ricevuti, come una opportunità; oppure l’esistenza come un lungo tribunale, pieno di rischi e di paure. I primi due servi entrano nella vita come in una possibilità gioiosa; l’ultimo non entra neppure, paralizzato dalla paura di uscirne sconfitto. La parabola dei talenti è il poema della creatività e della responsabilità, perché nessuno dei tre servi crede di poter salvare il mondo. Tutto invece sa di semplicità e di concretezza. Ciò che io posso fare è solo una goccia nell’oceano, ma è questa goccia che dà senso alla mia vita.

Leggiamo bene il seguito della parabola: Dio non è un padrone che rivuole indietro i suoi talenti, con in aggiunta quelli che i servi hanno guadagnato. Ciò che i servi hanno realizzato non solo rimane a loro, ma è moltiplicato un’altra volta: «Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto». Il padrone non ha bisogno di quei dieci o quattro talenti. I servi vanno per restituire, e Dio rilancia: e questo accrescimento, questo incremento di vita, questa spirale d’amore crescente è l’energia segreta di tutto ciò che vive. Noi non viviamo semplicemente per restituire a Dio i suoi doni. Ci sono dati perché diventino a loro volta seme di altri doni, lievito che solleva, addizione di vita per noi e per tutti coloro che ci sono affidati.

Non c’è neppure una tirannia, nessun capitalismo della quantità. Infatti chi consegna dieci talenti non è più bravo di chi che ne consegna quattro. Le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. Non ci sono dieci talenti ideali da raggiungere: c’è da
camminare con fedeltà a ciò che hai ricevuto, a ciò che sai fare, là dove la vita ti ha messo, fedele alla tua verità, senza maschere e paure.

La parabola dei talenti è un invito a non avere paura della vita, perché la paura paralizza, perché tutto ciò che scegli di fare sotto la spinta della paura, anziché sotto quella della speranza, impoverisce la tua storia. La pedagogia del Vangelo offre tre grandi regole di maturità: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. Soprattutto da quella che è la paura delle paure, la paura di Dio!

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 46

Echi Di Vita N°46 – DIECI LAMPADE PER SUPERARE NOTTI E SOLITUDINI

Dieci ragazze escono nella notte, armate solo di un po’ di luce; escono per andare incontro. Il Regno appartiene a chi sa uscire, varcare notti e solitudini, vivere d’incontri.

Ecco lo sposo! Andategli incontro! In queste parole l’immagine più bella dell’esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro. Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, alla ricerca di Dio.

L’esistenza come un uscire incontro. Fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio.

Il secondo elemento importante della parabola è la luce: il Regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po’ di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo.

Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte. Ma sorge un problema:cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell’olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta. Gesù non spiega che cosa sia l’olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno. L’alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.

Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono… la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me? Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà. È in quella voce, che non mancherà; che verrà a ridestare da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci.

Dio è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade. A me basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada, e uscire incontro a Lui. In ogni celebrazione Eucaristica è lì che lo sposo incontra ciascuno di noi e in noi la sua sposa.

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2017 N 45

Echi Di Vita N°45 – GESÙ APPREZZA LA FATICA, MA RIMPROVERA L’IPOCRISIA

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esù non si scaglia mai contro la debolezza dei piccoli, ma contro l’ipocrisia dei pii e dei potenti, quelli che redigono leggi sempre più severe per gli altri, mentre loro non le toccano neppure con un dito. Anzi, più sono inflessibili e rigidi con gli altri, più si sentono fedeli e giusti.
Ma Gesù conosce bene quanto sono radicalmente deboli i suoi fratelli, sa la nostra fatica. E nel Vangelo vediamo che si è sempre mostrato premuroso verso la debolezza, come fa il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l’argilla, ma la rimette sul tornio e la riplasma e la lavora di nuovo.
Gesù non rimprovera la fatica di chi non riesce a vivere in pienezza il sogno evangelico, ma l’ipocrisia di chi neppure si avvia verso l’ideale, di chi neppure comincia un cammino, e tuttavia vuole apparire giusto. Non siamo al mondo per essere immacolati, ma per essere incamminati; non per essere perfetti ma per iniziare percorsi.
Se l’ipocrisia è il primo peccato, il secondo è la vanità: «tutto fanno per essere ammirati dalla gente», vivono per l’immagine, recitano.
E il terzo errore è l’amore del potere. A questo oppone la sua rivoluzione: non chiamate nessuno “maestro” o “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre, quello del cielo, e voi siete tutti fratelli. Ma la rivoluzione di Gesù non si ferma qui, a un modello di uguaglianza sociale, prosegue con un secondo capovolgimento: il più grande tra voi sia vostro servo.
Servo è la più sorprendente definizione che Gesù ha dato di se stesso: Io sono in mezzo a voi come colui che serve. Servire vuol dire vivere a partire da me, ma non per me. Ci sono nella vita tre verbi negativi: avere, salire, comandare. Ad essi Gesù oppone tre verbi positivi: dare, scendere, servire. Se fai così sei felice!

Don Alfredo Di Stefano

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