Author : E. Redazione

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2019 – Echi di Vita N 45 – INCONTRARE GESU’ RENDE LIBERO L’UOMO

2019 – Echi di Vita N°45 – INCONTRARE GESU’ RENDE LIBERO L’UOMO

C’è un Rabbi che riempie di gente le strade. Tanta gente, al punto che Zacchéo, piccolo di statura, ha davanti a sé un muro. Ma questo piccolo-ricco uomo non ha complessi, ha un obiettivo: vuole vedere Gesù, di parlargli non spera, e invece di nascondersi dietro l’alibi dei suoi limiti, cerca la soluzione: l’albero.

Zacchéo agisce in nome non della paura ma del desiderio, e così diventa creativo, inventa, va’ controcorrente, respira un’energia che lo fa correre avanti e salire in alto.

Lo sguardo di Gesù: il solo sguardo che non giudica, non condanna, non umilia, e perciò libera; che va diritto al cuore e interpella la parte migliore di ciascuno, quel frammento puro che nessun peccato arriverà mai a cancellare. Zacchéo vuol dire «Dio si ricorda». Ma non del tuo peccato, bensì del tuo tesoro si ricorda.

Zacchéo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l’amante scopre di essere amato: Zacchéo, scendi, oggi devo fermarmi a casa tua.

«Devo» dice Gesù, devo fermarmi! Dio deve cercarmi, deve farlo per un suo intimo bisogno: a Dio manca qualcosa, manca Zacchéo, manco io. Se Gesù avesse detto: Zacchéo, io ti conosco bene, so che sei un ladro, se restituisci ciò che hai rubato verrò a casa tua. Credetemi: Zacchéo sarebbe rimasto sull’albero.

Zacchéo prima incontra, poi si converte: incontrare uno come Gesù fa credere nell’uomo; incontrare un uomo così rende liberi; incontrare questo amore fa amare; incontrare un Dio che non fa prediche e non condanna ma che si fa amico moltiplica l’amicizia.

Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Poche parole: fretta, accogliere, gioia, che dicono sulla conversione più di tanti trattati. Apro la casa del cuore a Dio, con fiducia, e la gioia e la vita si rimettono in moto.

Infatti vediamo la casa di Zacchéo riempirsi di amici, il ricco diventare amico dei poveri: «Metà di tutto ciò che ho è per loro». Come se i poveri fossero la metà di se stesso.

Oggi a casa tua. Dio alla portata di ognuno. Dio nella casa: alla mia tavola, come un familiare, intimo come una persona cara. Perché Gerico è su ogni strada del mondo: per ogni piccolo c’è un albero, per ognuno uno sguardo.

don Alfredo Di Stefano

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2019 – Echi di Vita N 44 – QUANDO METTIAMO IO AL POSTO DI DIO

2019 – Echi di Vita N°44 – QUANDO METTIAMO “IO” AL POSTO DI “DIO”

Una parabola “di battaglia”, in cui Gesù ha l’audacia di denunciare che pregare può essere pericoloso, può perfino separarci da Dio, renderci “atei”, adoratori di un idolo.

Il fariseo prega, ma come rivolto a se stesso, dice letteralmente il testo; conosce le regole, inizia con le parole giuste «o Dio, ti ringrazio», ma poi sbaglia tutto, non benedice Dio per le sue opere, ma si vanta delle proprie: io prego, io digiuno, io pago, io sono un giusto.

Per l’anima bella del fariseo, Dio in fondo non fa niente se non un lavoro da burocrate, da notaio: registra, prende nota e approva. Un muto specchio su cui far rimbalzare la propria arroganza spirituale. Io non sono come gli altri, tutti ladri, corrotti, adulteri, e neppure come questo pubblicano, io sono molto meglio. Offende il mondo nel mentre stesso che crede di pregare.

Non si può pregare e disprezzare, benedire il Padre e maledire, dire male dei suoi figli, lodare Dio e accusare i fratelli. Quella preghiera ci farebbe tornare a casa con un peccato in più, anzi confermati e legittimati nel nostro cuore e occhio malati.

Invece il pubblicano, grumo di umanità curva in fondo al tempio, fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Una piccola parola cambia tutto e rende vera la preghiera del pubblicano: «tu», «Signore, tu abbi pietà».

La parabola ci mostra la grammatica della preghiera. Le regole sono semplici e valgono per tutti. Sono le regole della vita.

La prima: se metti al centro l’io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con i figli o con gli amici, tantomeno con Dio. Il nostro vivere e il nostro pregare avanzano sulla stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di qualcuno (un amore, un sogno o un Dio) così importante che il tu viene prima dell’io.

La seconda regola: si prega non per ricevere ma per essere trasformati. Il fariseo non vuole cambiare, non ne ha bisogno, lui è tutto a posto, sono gli altri sbagliati, e forse un po’ anche Dio. Il pubblicano invece non è contento della sua vita, e spera e vorrebbe riuscire a cambiarla, magari domani, magari solo un pochino alla volta. E diventa supplica con tutto se stesso, mettendo in campo corpo cuore mani e voce: batte le mani sul cuore e ne fa uscire parole di supplica verso il Dio del cielo.

Il pubblicano tornò a casa perdonato, non perché più onesto o più umile del fariseo, ma perché si apre a Dio che entra in lui, con la sua misericordia: questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.

don Alfredo Di Stefano

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2019 – Echi di Vita N 43 – LA PREGHIERA DELLA VEDOVA CHE NON SI ARRENDE

2019 – Echi di Vita N°43 – LA PREGHIERA DELLA VEDOVA CHE NON SI ARRENDE

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre.

E a noi pare un obiettivo impossibile da raggiungere. Ma il pregare sempre non va confuso con il recitare preghiere senza interruzione. Gesù stesso l’ha detto: quando pregate non moltiplicate parole. Perché pregare è come voler bene. Infatti c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami sempre.

 

Il Vangelo ci porta a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, che non si arrende, fragile e indomita al tempo stesso. Ha subito ingiustizia e non abbassa la testa. C’era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario!

 

Gesù lungo tutto il Vangelo ha una predilezione particolare per le donne sole, perché rappresentano l’intera categoria biblica dei senza difesa, vedove orfani forestieri, i difesi da Dio.

Una donna che non si lascia schiacciare ci rivela che la preghiera è un “no” gridato al “così vanno le cose“, è come il primo vagito di una storia nuova che nasce.

 

Perché pregare? È come chiedere: perché respirare? Per vivere.

La preghiera è il respiro della fede. Come un canale aperto in cui scorre l’ossigeno dell’infinito, un riattaccare continuamente la terra al cielo. Come per due che si amano, il respiro del loro amore.

Forse tutti ci siamo qualche volta stancati di pregare. E ci siamo chiesti: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no?

La risposta di un grande credente, il martire Bonhoeffer è questa: «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse».

E il Vangelo ne è pieno: non vi lascerò orfani, sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del tempo. Non si prega per cambiare la volontà di Dio, ma il cuore dell’uomo. Non si prega per ottenere, ma per essere trasformati.

 

Contemplare, trasforma. Uno diventa ciò che contempla con gli occhi del cuore. Uno diventa ciò che prega. Uno diventa ciò che ama.

Ottenere Dio da Dio, questo è il primo miracolo della preghiera.

E sentire il suo respiro intrecciato per sempre con il mio respiro.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 42

2019 – Echi di Vita N°42 – DIO CI OFFRE NON SOLO GUARIGIONE, MA SALVEZZA

Dieci lebbrosi che la sofferenza ha riunito insieme, che si appoggiano l’uno all’altro.

Appena Gesù li vide… Notiamo il dettaglio: appena li vide, subito, spinto dalla fretta di chi vuole bene, disse loro: andate dai sacerdoti e mostrate loro che siete guariti!

I dieci si mettono in cammino e sono ancora malati; la pelle ancora germoglia piaghe, eppure partono dietro a un atto di fede, per un anticipo di fiducia concesso a Dio e al proprio domani.

I dieci lebbrosi credono nella salute prima di vederla, hanno la fede dei profeti che amano la parola di Dio più ancora della sua attuazione, che credono nella parola di Dio prima e più che alla sua realizzazione. E mentre andavano, furono guariti. Lungo il cammino, un passo dopo l’altro la salute si fa strada in loro. Accade sempre così: il futuro entra in noi con il primo passo, inizia molto prima che accada. E furono guariti.

Il Vangelo è pieno di guariti, sono il corteo gioioso che accompagna l’annuncio di Gesù: Dio è qui, è con noi, coinvolto nelle piaghe dei dieci lebbrosi e nello stupore dell’unico che ritorna cantando. E al quale Gesù dice: la tua fede ti ha salvato!

Anche gli altri nove che non tornano hanno avuto fede nelle parole di Gesù. Dove sta la differenza? Il samaritano salvato ha qualcosa in più dei nove guariti. Non si accontenta del dono, lui cerca il Donatore, ha intuito che il segreto della vita non sta nella guarigione, ma nel Guaritore, nell’incontro con lo stupore di un Dio che ha i piedi nel fango delle nostre strade, e gli occhi sulle nostre piaghe. Nessuno si è trovato che tornasse a rendere gloria a Dio? E chi è più vivente di questo piccolo uomo di Samaria? Lui, il doppiamente escluso, che torna guarito, gridando di gioia?

Non gli basta tornare dai suoi, alla sua famiglia, travolto da questa inattesa piena di vita, vuole tornare alla fonte da cui è sgorgata. Altro è essere guariti, altro essere salvati.

Nella guarigione si chiudono le piaghe, ma nella salvezza si apre la sorgente, entri in Dio e Dio entra in te, come pienezza. I nove guariti trovano la salute; l’unico salvato trova il Dio che dona pelle di primavera ai lebbrosi, che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, e la cui gloria è l’uomo vivente, l’uomo finalmente promosso a uomo.

don Alfredo Di Stefano

 

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 41

2019 – Echi di Vita N°41 – LA FEDE, UN NIENTE CHE PUO’ TUTTO

Gesù ha appena avanzato la sua proposta, unica misura del perdono è perdonare senza misura, che agli Apostoli appare un obiettivo inarrivabile, al di là delle loro forze, e sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede. Da soli non ce la faremo mai.

Gesù però non esaudisce la richiesta, perché non tocca a Dio aggiungere, accrescere, aumentare la fede, non può farlo: essa è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio.

 

Gesù cambia la prospettiva da cui guardare la fede, introducendo come unità di misura il granello di senape, proverbialmente il più piccolo di tutti i semi: non si tratta di quantità, ma di qualità della fede.

Fede come granello, come briciola; non quella sicura e spavalda ma quella che, nella sua fragilità, ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.

Allora ne basta un granello, poca, anzi meno di poca, per ottenere risultati impensabili.

La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare alberi e la leggerezza di farli volare sul mare: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati.

Segue poi una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, che inizia come una fotografia della realtà: Chi di voi, se ha un servo ad arare, gli dirà, quando rientra: Vieni e mettiti a tavola? E che termina con una proposta spiazzante, nello stile tipico del Signore: Quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene: servo inutile significa non determinante, non decisivo; indica che la forza che fa crescere il seme non appartiene al seminatore; che la forza che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola. Noi siamo i flauti, ma il soffio è del Signore.

Allora capisco che chiedere «accresci la mia fede» significa domandare che questa forza vivi­ficante entri come linfa nelle vene del cuore.

Servo inutile è colui che, in una società che pensa solo all’utile, scommette sulla gratuità, sen­za cercare il proprio vantaggio, senza vantare meriti.

La sua gioia è servire la vita, custodendo con tenerezza coloro che gli sono affidati.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 40

2019 – Echi di Vita N°40 – DIO NELLE PIAGHE DI LAZZARO

Dio avrebbe contato a una a una tutte le briciole date a Lazzaro, e tutte le parole, con quello sguardo così amorevole e attento che scruta perfino gli abiti del povero e del ricco: vede il ricco vestito di porpora, guarda l’uomo vestito di piaghe. E guarda come mangia e dove dorme, e guarda i cani sulla porta, e tutto porterà nell’eterno.

È a questo Dio fedele e memore che si possono affidare tutti i poveri della terra. E tutti i ricchi. Il ricco è senza nome, perché spesso il denaro diventa come la seconda identità di una persona, domina la sua coscienza, detta le leggi, ispira i pensieri. Il povero invece ha un nome, anzi ha il nome dell’amico di Gesù, Lazzaro.

Luca non usa mai nomi propri nelle parabole, solo qui fa un’eccezione: quel nome evoca Betania e la casa dell’amicizia, e ci assicura che se quel mendicante piagato porta il nome di Lazzaro, ogni povero deve avere, per Lui, per me, un nome d’amico; che “amico” è anche il nome di Dio per i poveri.

In che cosa consiste il peccato del ricco? Nella cultura del piacere? Nell’amore per il lusso? Negli eccessi della gola? No. Il suo peccato è non aver dato: non un gesto, non una briciola, non una parola, al mendicante, lasciato solo con i cani.

Il suo peccato è la pigra e soddisfatta indifferenza assoluta. Come se Lazzaro non esistesse.

Il ricco non fa del male al povero. Solo, non fa nulla per lui. E nessuno ha il diritto di non fare nulla, di ridurre a nulla l’uomo, un’ombra fra i cani.

Morì anche il ricco e fu sepolto nell’inferno. L’eternità era già iniziata, l’inferno è solo il prolungamento di questo abisso esistenziale di solitudini gelide. Il peccato dell’uomo ricco è di essere già nel suo cuore, durante la sua vita, un separato. Da tutti gli innumerevoli Lazzari della terra. E l’eternità non farà che ratificare e rendere infinita questa separazione.  Chi non ama rimane nella morte, per sempre.

 

Padre Abramo, mandalo dai miei cinque fratelli, perché li ammonisca. Ma non serve che un morto ritorni: non la morte ammaestra, ma la vita stessa. Chi non si è posto il problema davanti al mistero grande che è la vita, non se lo porrà davanti al mistero ben più piccolo che è la morte. E invoca: una goccia d’acqua per me, una goccia di miracolo per i miei fratelli. Ma la terra è già piena di miracoli e di profeti: hanno i profeti, ascoltino quelli!

Non c’è miracolo che valga il brusìo dei poveri. Dio abita nel povero, dice Luca; anzi nelle piaghe del povero. Dalle piaghe alla luce, ecco l’infinito percorso della storia.

don Alfredo Di Stefano

 

 

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San Lorenzo Parrocchia - ECHI DI VITA 2019 N 39

2019 – Echi di Vita N°39 – QUANTA VITA AVREMO LASCIATO DIETRO DI NOI?

La sorpresa: il padrone loda chi l’ha derubato. Il resto è storia di tutti i giorni e di tutti i luoghi, di furbi disonesti è pieno il mondo. Quanto devi al mio padrone? Cento? Prendi la ricevuta e scrivi cinquanta. La truffa continua, eppure sta accadendo qualcosa che cambia il colore del denaro, ne rovescia il significato: l’amministratore trasforma i beni materiali in strumento di amicizia, regala pane, olio – vita – ai debitori.

Il benessere di solito chiude le case, tira su muri, inserisce allarmi, sbarra porte; ora invece il dono le apre: mi accoglieranno in casa loro. E il padrone lo loda. Non per la disonestà, ma per il capovolgimento: il denaro messo a servizio dell’amicizia. Ci sono famiglie che riceveranno cinquanta inattesi barili d’olio, venti insperate misure di farina… e il padrone vede la loro gioia, vede porte che si spalancano, e ne è contento. È bello questo padrone, non un ricco ma un signore, per il quale le persone contano più dell’olio e del grano.

 

Gesù condensa la parabola in un detto finale: «Fatevi degli amici con la ricchezza», la più umana delle soluzioni, la più consolante.

Fatevi degli amici donando ciò che potete e più di ciò che potete, ciò che è giusto e perfino ciò che non lo è! Non c’è comandamento più umano. Affinché questi amici vi accolgano nella casa del cielo. Essi apriranno le braccia, non Dio. Come se il cielo fosse casa loro, come se fossero loro a detenere le chiavi del paradiso. Come se ogni cosa fatta sulla terra degli uomini avesse la sua prosecuzione nel cielo di Dio.

Perché io, amministratore poco onesto, che ho sprecato così tanti doni di Dio, dovrei essere accolto nella casa del cielo? Perché lo sguardo di Dio cerca in me non la zizzania ma la spiga di buon grano. Perché non guarderà a me, ma attorno a me: ai poveri aiutati, ai debitori perdonati, agli amici custoditi. Perché la domanda decisiva dell’ultimo giorno non sarà: vediamo quanto pulite sono le tue mani, o se la tua vita è stata senza macchie; ma sarà dettata da un altro cuore: hai lasciato dietro di te più vita di prima?

Mi piace tanto questo Signore al quale la felicità dei figli importa più della loro fedeltà; che accoglierà me, fedele solo nel poco e solo di tanto in tanto, proprio con le braccia degli amici, di coloro cui avrò dato un po’ di pane, un sorriso, una rosa.

Siate fedeli nel poco. Questa fedeltà nelle piccole cose è possibile a tutti, è l’insurrezione degli onesti, a partire da se stessi, dal mio lavoro, dai miei acquisti…

Chi vince davvero, qui nel gioco della vita e poi nel gioco dell’eternità? Chi ha creato relazioni buone e non ricchezze, chi ha fatto di tutto ciò che possedeva un sacramento di comunione.

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2019 N 38 - Copertina

2019 – Echi di Vita N°38 – LA BELLA NOTIZIA DEL SIGNORE CHE VA A CERCARE CHI SI PERDE

Un pastore che sfida il deserto, una donna di casa che non si dà pace per una moneta che non trova, un padre esperto in abbracci. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del vangelo.

Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere. C’era come un feeling misterioso tra Gesù e i peccatori, un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.

Ecco allora la passione del pastore, quasi un inseguimento della sua pecora per steppe e pietraie. Se noi lo perdiamo, lui non ci perde mai. Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all’ovile, se ne sta allontanando; il pastore non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno. Immagine bellissima: Dio non guarda alla nostra colpa, ma alla nostra debolezza. Non traccia consuntivi, ma preventivi. Dio è amico della vita: Gesù guarisce ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi osservanti, tanto meglio se accadrà, ma perché tornino persone piene, felici, realizzate, uomini finalmente promossi a uomini.

La pena di un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta, che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto e troverà il suo tesoro, lo scoverà sotto la polvere raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un frammento d’oro.

Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota.

Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.

Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso “crescendo“. L’ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti… Dio è in cerca di me.

   Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2019 N 37 - Copertina

2019 – Echi di Vita N°37 – SI E’ DISCEPOLI DI GESU’ SOLTANTO SE SI E’ CAPACI DI AMARE

Gesù, sempre spiazzante nelle sue proposte, indica tre condizioni per seguirlo. Radicali.

La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.

Gesù punta tutto sull’amore. Lo fa con parole che sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti, la prima felicità di questa vita. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non mi “ama di più“. Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un “di più“. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare.

 

La seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me.

Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace. Nel Vangelo “croce” contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce.

La prima e la seconda condizione: amare di più e portare la croce, si illuminano a vicenda; portare la croce significa portare l’amore fino in fondo. Gesù non ama le cose lasciate a metà, perché generano tristezza: se devi costruire una torre siediti prima e calcola bene se ne hai i mezzi. Vuole da noi risposte libere e mature, ponderate e intelligenti.

 

Ed elenca la terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è un sacrificio, ma un atto di libertà: esci dall’ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: io ho, accumulo, e quindi sono e valgo. Non lasciarti risucchiare dalle cose: la tua vita non dipende dai tuoi beni. Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare bene. Gesù non intende impossessarsi dell’uomo, ma liberarlo, regalandogli un’ala che lo sollevi verso più libertà, più amore, più consapevolezza.

don Alfredo Di Stefano

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San Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2019 N 36 - Copertina

2019 – Echi di Vita N°36 – METTERSI ALL’ULTIMO POSTO: QUELLO DI DIO

Il banchetto è un vero protagonista del Vangelo di Luca.

Gesù era un rabbi che amava i banchetti, che li prendeva a immagine felice e collaudo del Regno: a tavola, con farisei o peccatori, amici o pubblicani, ha vissuto e trasmesso alcuni tra i suoi insegnamenti più belli.

Gesù, uomo armonioso e realizzato, non separava mai vita reale e vita spirituale, le leggi fondamentali sono sempre le stesse.

A noi invece, quello che facciamo in chiesa alla domenica o in una cena con gli amici sembrano mondi che non comunicano, parallele che non si incontrano.

Torniamo allora alla sorgente: per i profeti il culto autentico non è al tempio, ma nella vita; per Gesù tutto è sillaba della Parola di Dio: il pane e il fiore del campo, il passero e il bambino, un banchetto festoso e una preghiera nella notte. Sedendo a tavola, con Levi, Zaccheo, Simone il fariseo, i cinquemila sulla riva del lago, i dodici nell’ultima sera, faceva del pane condiviso lo specchio e la frontiera avanzata del suo programma messianico.

Per questo invitare Gesù a pranzo era correre un bel rischio, come hanno imparato a loro spese i farisei. Ogni volta che l’hanno fatto, Gesù gli ha messo sottosopra la cena, mandandoli in crisi, insieme con i loro ospiti.

Il paradosso dell’ultimo posto, quello del Dio “capovolto”, venuto non per essere servito, ma per servire. Il linguaggio dei gesti lo capiscono tutti, bambini e adulti, teologi e illetterati, perché parlano al cuore. E gesti così generano un capovolgimento della nostra scala di valori, del modo di abitare la terra.

Creano una vertigine: Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Riempiti la casa di quelli che nessuno accoglie, dona generosamente a quelli che non ti possono restituire niente.

La vertigine di una tavolata piena di ospiti male in arnese mi parla di un Dio che ama in perdita, ama senza condizioni, senza nulla calcolare, se non una offerta di sole in quelle vite al buio, una fessura che si apre su di un modo più umano di abitare la terra insieme.

E sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Che strano: poveri, storpi, ciechi, zoppi, sembrano quattro categorie di persone infelici, che possono solo contagiare tristezza; invece sarai beato, troverai la gioia, la trovi nel volto degli altri, la trovi ogni volta che fai le cose non per interesse, ma per generosità. Sarai beato: perché Dio regala gioia a chi produce amore.

don Alfredo Di Stefano

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