Portarono a Gesù un sordomuto.
Un uomo imprigionato nel silenzio, che non può comunicare, chiuso. Eppure privilegiato: non ha nessun merito per ciò che gli sta per accadere, ma ha degli amici, una piccola comunità di
gente che gli vuol bene e lo porta davanti a Gesù.
Il sordomuto, icona di ognuno che venga alla fede, racconta così il percorso di guarigione per ogni credente. Allora Gesù lo prese in disparte, lontano dalla folla.
È la prima azione. Io e te soli, sembra dire.
E seguono gesti molto corporei e delicati Gesù pose le dita sugli orecchi del sordo.
Non il braccio o la mano, ma le dita, come l’artista che modella delicatamente il volto che ha plasmato. Come una carezza.
Poi con la saliva toccò la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente: ti dò qualcosa di mio, qualcosa che sta nella bocca dell’uomo, insieme al respiro e alla parola, simboli dello Spirito.
Guardando quindi verso il cielo… gli disse: “Effatà”, cioè: “Apri“.
Apri, come si apre uno scrigno prezioso. Apri agli altri e a Dio, anche con le tue ferite o con i tuoi limiti.
Il primo passo per guarire, è abbandonare le chiusure, le rigidità, i blocchi, aprirsi: “Effatà”.
Uscire dalla solitudine, dove ci pare di essere al sicuro, e che è pericolosa.
E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
Prima gli orecchi. Simbolo eloquente: sa parlare solo chi sa ascoltare. Primo servizio da rendere a Dio e all’uomo è l’ascolto. Senza, non c’è parola vera.
Il dono di un cuore che ascolta! Dono da chiedere sempre. Instancabilmente, per il sordomuto che è in noi: donaci, Signore, un cuore che ascolta. Perché è solo con il cuore che si ascolta,
e da qui, parole profumate di vita e di cielo.
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