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2024 – Echi di Vita N°52 – E’ IN FAMIGLIA CHE SI IMPARA IL NOME PIU’ BELLO DI DIO

Che cosa dice la Parola di Dio alle fragilità delle nostre famiglie? Dice prima di tutto che il matrimonio è santo come il sacerdozio. Che la vocazione dei genitori è santa come quella di una monaca di clausura. Perché l’amore quotidiano nella casa è un tutt’uno con l’amore di Dio. E non sono due amori, ma un unico, solo, grande mistero, che muove Adamo verso Eva, me verso gli altri, Dio verso Betlemme, nel suo esodo infinito verso di noi.

La famiglia è il luogo dove si impara il primo nome, e il più bello, di Dio: che Dio è amore; dove si assapora il primo sapore di Dio, così vicino a quello dell’amore.

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme. Questa parola ricorda alla famiglia che essa è in pellegrinaggio. Non sapevate che devo occuparmi d’altro da voi? I nostri figli non sono nostri, appartengono al Signore, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non può, non deve impostare la sua vita in funzione dei genitori. Sarebbe come bloccare la ruota della creazione.

Devo occuparmi delle cose del Padre. Per una vita piena e felice il primato è di Dio. Sono parole dure per i genitori, ma dove l’ha imparato Gesù se non nella sua famiglia? Me lo avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli! Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni, da una voce nella notte: alzati prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.

Ma essi non compresero. Gesù cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi i tre di Nazaret, sono profeti colmi di Spirito, eppure non capiscono i propri familiari. E noi ci meravigliamo di non capirci nelle nostre case? E qui leggo un conforto per tutte le famiglie, tutte diversamente imperfette, ma tutte capaci di far crescere. Si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà del mio uomo o della mia donna, ai perché inquieti di mio figlio. Si può crescere in virtù e grazia anche sottomessi al dolore di non capire e di non essere capiti.

E questo perché? Perché nei miei familiari abita un mistero. Di più, sono loro il mistero primo di Dio, il sacramento, vale a dire il segno visibile ed efficace. Isaia ha detto: Tu sei un Dio nascosto. Dove mai è nascosto Dio, se non nella mia casa? La casa è il luogo del primo magistero. Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca, ti parla, ti fa crescere. Ti insegna l’arte di vivere, l’arte di dare e ricevere amore.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-051

2024 – Echi di Vita N°51 – GESU’, PRINCIPE DELLA PACE. NATALE 2024

In occasione del Natale 2024, desidero condividere un messaggio carico di significato e speranza, rivolto a tutto il territorio. Al centro sta l’annuncio di pace che il Natale porta con sé, un richiamo profondo che invita ognuno di noi a farsi costruttore di pace nella quotidianità.

È il Natale di Gesù che noi celebriamo. Ricordo che il cuore del Natale è l’annuncio della pace. Gli angeli stessi proclamano pace al momento della nascita di Gesù, e il Bambino che viene al mondo è riconosciuto come il Principe della Pace. Questo augurio di pace sottolinea quanto sia urgente e necessario in un contesto in cui le guerre devastano la vita di tanti.

Vogliamo raccogliere l’annuncio natalizio di pace? Costruire la pace, significa innanzitutto partire dalla propria quotidianità: superare i conflitti non con atteggiamenti ostili o distruttivi, ma con gesti che tessono un tessuto di riconciliazione e dialogo.

La pace si costruisce nei nostri gesti quotidiani. Per un bel vestito, la stoffa è fondamentale, non bastano le decorazioni, così nelle nostre relazioni, i segni autentici di pace, ne fanno l’essenza.

Questa opera di pace è sostenuta dalla preghiera, che non solo affida le nostre intenzioni a Dio, ma infonde anche la forza necessaria per essere testimoni credibili. Pregando si nutre la nostra forza per essere testimoni di pace. Allargare lo sguardo e il cuore verso l’intera umanità, chiedendosi: “Che cosa posso fare io concretamente a partire dalla mia realtà per un’umanità più vasta?” Questo slancio verso il bene comune nasce dalla consapevolezza che, nella tenerezza di un bambino, Dio stesso si è fatto presente.

Un augurio di speranza e impegno per un Natale santo e pieno di pace, sottolineando che questa pace non è solo un sentimento, ma un impegno concreto, radicato nella fede e nella consapevolezza del mistero dell’incarnazione. “Sia veramente Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama.”

Vi invito tutti a vivere il Natale come un’occasione per rinnovare l’impegno personale e comunitario a essere portatori di pace, un dono prezioso di cui il mondo ha oggi più che mai bisogno.

don Alfredo Di Stefano

 

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2024 – Echi di Vita N°50 – LE TRE REGOLE INDICATE DA GIOVANNI PER CAMBIARE

Le folle interrogavano Giovanni.

Va da lui la gente che non frequenta il tempio, gente qualunque, pubblicani, soldati; vanno da quell’uomo credibile con un’unica domanda, che non tocca teologia o dottrina, ma va diritta al cuore della vita:

che cosa dobbiamo fare?

Perché la vita non può essere solo lavorare, mangiare, dormire. Tutti sentiamo che il nostro segreto è oltre noi, che c’è una vita ulteriore, come appello o inquietudine, come sogno o armonia. Una fame, una voglia di partire:

profeta del deserto, tu conosci la strada?

Domandano cose di tutti i giorni, perché il modo con cui trattiamo gli uomini raggiunge Dio, il modo con cui trattiamo con Dio raggiunge gli uomini.

Giovanni risponde elencando tre regole semplici, fattibili, alla portata di tutti, che introducono nel mio mondo l’altro da me. Il profeta sposta lo sguardo: da te alle relazioni attorno a te.

Prima regola: chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto.

Regola che da sola basterebbe a cambiare la faccia e il pianto del mondo. Quel profeta diceva: ciò che hai e non usi, è rubato ad un altro. Giovanni apre la breccia di una terra nuova: è vero che se metto a disposizione la mia tunica e il mio pane, io non cambio il mondo e le sue strutture ingiuste, però ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che il dolore degli altri ha dei diritti su di me, che io non abbandono chi ha fatto naufragio, che la condivisione è la forma più propria dell’umano.

Vengono ufficiali pubblici, hanno un ruolo, un’autorità: non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato. Una norma così semplice da sembrare perfino realizzabile, perfino praticabile: una insurrezione di onestà, la semplice rivolta degli onesti: almeno non rubate!

Vengono anche dei soldati, la polizia di Erode: hanno la forza dalla loro, estorcono pizzi e regalie; dicono di difendere le legge e la violano: voi non maltrattate e non estorcete niente a nessuno. Non abusate della forza o della posizione per offendere, umiliare, far piangere, ferire, spillare soldi alle persone.

Niente di straordinario. Giovanni non dice “lascia tutto e vieni nel deserto”; semplici cose, fattibili da chiunque: non accumulare; se hai, condividi; non rubare e non usare violenza.

Il brano si conclude con Giovanni che alza lo sguardo: viene uno più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. È il più forte non perché si impone e vince, ma perché è l’unico che parla al cuore, l’unico che “battezza nel fuoco“. Ha acceso milioni e milioni di vite, le ha accese e le ha rese felici.

Questo fa di lui il più forte. E il più amato.

don Alfedo Di Stefano

 

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2024 – Echi di Vita N°49 – IL NOME DELL’UOMO? ‘ECCOMI’

L’annunciazione è l’estasi della storia: viene ciò che l’umanità da sola non può darsi. La storia esce da se stessa, si ricentra su di un altro cardine, si illumina di un altro sole.

Tre volte parla l’angelo: una parola di gioia, “kaire”; una contro la paura, “non temere”; un’ultima parola perché ci sia vita nuova, “lo Spirito verrà e sarai madre”.

L’angelo propone le tre parole assolute: gioia, fine di ogni paura e vita.

“Rallegrati”, “Non temere”, “Ecco verrà una vita”.

Sono le tre parole che angeli e profeti ripetono dentro tutta la nostra storia, dentro tutta la Scrittura per chi non voglia che di lui sia detto ciò che dicevano di Elisabetta: «Ecco, tutti la dicono sterile».

Toccano le corde più profonde di ogni esistenza umana: il bisogno di felicità, la paura che è madre di inganno e di violenza, l’ansia divina di dare la vita.

L’angelo ci assicura che i segni dell’avvicinarsi di Dio sono questi: si moltiplica la gioia, la paura si dissolve, risplende la vita.

Prima parola: «Sii felice Maria, Dio ha posto in te il suo cuore».

Il primo vangelo è lieta notizia, qualcosa precede ogni nostra risposta.

L’angelo non dice: «Fai questo o quello, ascolta, prega, vai». Semplicemente: «Gioisci, Maria», sii felice perché, lo sai, la felicità viene dai volti; anche Giuseppe e il suo pensiero e il suo volto ti fanno felice, ma ora è qui colui che è il volto dei volti, è con te, ha posto in te il suo cuore; gli altri sono solo frammenti di quel volto, gocce di luce di quella luce; Dio è con te con quell’abbraccio di cui quelli sulla terra sono solo parabole, solo nostalgia.

Sii felice, tu sei amata teneramente, gratuitamente, per sempre. Il nome di Maria è «amata per sempre». E la sua funzione nella chiesa è di ricordare nel suo stesso nome questo amore che porta gioia.

Non temere Maria. Non temere se Dio non prende la strada dell’evidenza, dell’efficienza, della grandezza; non temere se Dio, l’Altissimo, si nasconde in un piccolo embrione umano, non temere le nuove vie di Dio, così lontane dalla scena, dalle luci, dai palazzi della città, dalle emozioni solenni del tempio, non temere questo Dio bambino, che vivrà solo se tu lo amerai.

Dio vivrà per il tuo amore. Sarà felice se tu lo farai felice.

Tre volte parla l’angelo, tre volte risponde Maria, prima con il silenzio e il turbamento, poi con il desiderio di capire, infine con il servizio.

La prima azione di Maria è ascoltare questo angelo inatteso e sconcertante. Primo passo per chiunque voglia entrare in un rapporto vero con le creature o con Dio, con uomini o angeli, l’arte dell’ascolto.

Con la sua ultima parola rivela il nostro vero nome. Il nome dell’uomo è: «Eccomi!».

don Alfredo Di Stefano

 

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2024 – Echi di Vita N°48 – SE NON ALZI IL TUO CAPO, NON VEDRAI L’ARCOBALENO

Ricomincia da capo l’anno liturgico, quando ripercorreremo un’altra volta tutta la vita di Gesù.

L’anno nuovo inizia con la prima domenica d’Avvento, il primo giorno di un cammino che conduce a Natale, che è il perno attorno al quale ruotano gli anni e i secoli, l’inizio della storia nuova, quando Dio è entrato nel fiume dell’umanità.

Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per ciò che dovrà accadere.

Il Vangelo non anticipa la fine del mondo, racconta il segreto del mondo: ci prende per mano e ci porta fuori, a guardare in alto, a sentire il cosmo pulsare attorno a noi; ci chiama ad aprire le finestre di casa per far entrare i grandi venti della storia, a sentirci parte viva di una immensa vita. Che patisce, che soffre, ma che nasce.

Il mondo spesso si contorce come una partoriente, dice Isaia, ma per produrre vita: è in continua gestazione, porta un altro mondo nel grembo. La terra risuona di un pianto mai finito, ma il Vangelo ci domanda di non smarrire il cuore, di non camminare a capo chino, a occhi bassi.

Risollevatevi, alzate il capo, guardate in alto e lontano, la liberazione è vicina.

Siamo tentati di guardare solo alle cose immediate, forse per non inciampare nelle macerie che ingombrano il terreno, ma se non risolleviamo il capo non vedremo mai nascere arcobaleni.

Uomini e donne in piedi, a testa alta, occhi nel sole: così vede i discepoli il Vangelo. Allora il nostro compito è di sentirci parte dell’intero creato, avvolti da una energia più grande di noi, connessi a una storia immensa, dove anche la mia piccola vicenda è preziosa e potente.

Gesù chiede ai suoi leggerezza e attenzione, per leggere la storia come un grembo di nascite. Chiede attenzione ai piccoli dettagli della vita e a ciò che ci supera infinitamente.

Chiede un cuore leggero e attento, per vegliare sui germogli, su ciò che spunta, sul nuovo che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce che si disegna sul muro della notte o della pandemia, sui primi vagiti della vita e dei suoi germogli.

Il Vangelo ci consegna questa vocazione a una duplice attenzione: alla vita e all’infinito. La vita è dentro l’infinito e l’infinito è dentro la vita; l’eterno brilla nell’istante e l’istante si insinua nell’eterno.

In un Avvento senza fine. Buon cammino!

don Alfredo Di Stefano

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