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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-052

2024 – Echi di Vita N°52 – E’ IN FAMIGLIA CHE SI IMPARA IL NOME PIU’ BELLO DI DIO

Che cosa dice la Parola di Dio alle fragilità delle nostre famiglie? Dice prima di tutto che il matrimonio è santo come il sacerdozio. Che la vocazione dei genitori è santa come quella di una monaca di clausura. Perché l’amore quotidiano nella casa è un tutt’uno con l’amore di Dio. E non sono due amori, ma un unico, solo, grande mistero, che muove Adamo verso Eva, me verso gli altri, Dio verso Betlemme, nel suo esodo infinito verso di noi.

La famiglia è il luogo dove si impara il primo nome, e il più bello, di Dio: che Dio è amore; dove si assapora il primo sapore di Dio, così vicino a quello dell’amore.

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme. Questa parola ricorda alla famiglia che essa è in pellegrinaggio. Non sapevate che devo occuparmi d’altro da voi? I nostri figli non sono nostri, appartengono al Signore, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non può, non deve impostare la sua vita in funzione dei genitori. Sarebbe come bloccare la ruota della creazione.

Devo occuparmi delle cose del Padre. Per una vita piena e felice il primato è di Dio. Sono parole dure per i genitori, ma dove l’ha imparato Gesù se non nella sua famiglia? Me lo avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli! Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni, da una voce nella notte: alzati prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.

Ma essi non compresero. Gesù cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi i tre di Nazaret, sono profeti colmi di Spirito, eppure non capiscono i propri familiari. E noi ci meravigliamo di non capirci nelle nostre case? E qui leggo un conforto per tutte le famiglie, tutte diversamente imperfette, ma tutte capaci di far crescere. Si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà del mio uomo o della mia donna, ai perché inquieti di mio figlio. Si può crescere in virtù e grazia anche sottomessi al dolore di non capire e di non essere capiti.

E questo perché? Perché nei miei familiari abita un mistero. Di più, sono loro il mistero primo di Dio, il sacramento, vale a dire il segno visibile ed efficace. Isaia ha detto: Tu sei un Dio nascosto. Dove mai è nascosto Dio, se non nella mia casa? La casa è il luogo del primo magistero. Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca, ti parla, ti fa crescere. Ti insegna l’arte di vivere, l’arte di dare e ricevere amore.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-051

2024 – Echi di Vita N°51 – GESU’, PRINCIPE DELLA PACE. NATALE 2024

In occasione del Natale 2024, desidero condividere un messaggio carico di significato e speranza, rivolto a tutto il territorio. Al centro sta l’annuncio di pace che il Natale porta con sé, un richiamo profondo che invita ognuno di noi a farsi costruttore di pace nella quotidianità.

È il Natale di Gesù che noi celebriamo. Ricordo che il cuore del Natale è l’annuncio della pace. Gli angeli stessi proclamano pace al momento della nascita di Gesù, e il Bambino che viene al mondo è riconosciuto come il Principe della Pace. Questo augurio di pace sottolinea quanto sia urgente e necessario in un contesto in cui le guerre devastano la vita di tanti.

Vogliamo raccogliere l’annuncio natalizio di pace? Costruire la pace, significa innanzitutto partire dalla propria quotidianità: superare i conflitti non con atteggiamenti ostili o distruttivi, ma con gesti che tessono un tessuto di riconciliazione e dialogo.

La pace si costruisce nei nostri gesti quotidiani. Per un bel vestito, la stoffa è fondamentale, non bastano le decorazioni, così nelle nostre relazioni, i segni autentici di pace, ne fanno l’essenza.

Questa opera di pace è sostenuta dalla preghiera, che non solo affida le nostre intenzioni a Dio, ma infonde anche la forza necessaria per essere testimoni credibili. Pregando si nutre la nostra forza per essere testimoni di pace. Allargare lo sguardo e il cuore verso l’intera umanità, chiedendosi: “Che cosa posso fare io concretamente a partire dalla mia realtà per un’umanità più vasta?” Questo slancio verso il bene comune nasce dalla consapevolezza che, nella tenerezza di un bambino, Dio stesso si è fatto presente.

Un augurio di speranza e impegno per un Natale santo e pieno di pace, sottolineando che questa pace non è solo un sentimento, ma un impegno concreto, radicato nella fede e nella consapevolezza del mistero dell’incarnazione. “Sia veramente Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama.”

Vi invito tutti a vivere il Natale come un’occasione per rinnovare l’impegno personale e comunitario a essere portatori di pace, un dono prezioso di cui il mondo ha oggi più che mai bisogno.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-050

2024 – Echi di Vita N°50 – LE TRE REGOLE INDICATE DA GIOVANNI PER CAMBIARE

Le folle interrogavano Giovanni.

Va da lui la gente che non frequenta il tempio, gente qualunque, pubblicani, soldati; vanno da quell’uomo credibile con un’unica domanda, che non tocca teologia o dottrina, ma va diritta al cuore della vita:

che cosa dobbiamo fare?

Perché la vita non può essere solo lavorare, mangiare, dormire. Tutti sentiamo che il nostro segreto è oltre noi, che c’è una vita ulteriore, come appello o inquietudine, come sogno o armonia. Una fame, una voglia di partire:

profeta del deserto, tu conosci la strada?

Domandano cose di tutti i giorni, perché il modo con cui trattiamo gli uomini raggiunge Dio, il modo con cui trattiamo con Dio raggiunge gli uomini.

Giovanni risponde elencando tre regole semplici, fattibili, alla portata di tutti, che introducono nel mio mondo l’altro da me. Il profeta sposta lo sguardo: da te alle relazioni attorno a te.

Prima regola: chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto.

Regola che da sola basterebbe a cambiare la faccia e il pianto del mondo. Quel profeta diceva: ciò che hai e non usi, è rubato ad un altro. Giovanni apre la breccia di una terra nuova: è vero che se metto a disposizione la mia tunica e il mio pane, io non cambio il mondo e le sue strutture ingiuste, però ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che il dolore degli altri ha dei diritti su di me, che io non abbandono chi ha fatto naufragio, che la condivisione è la forma più propria dell’umano.

Vengono ufficiali pubblici, hanno un ruolo, un’autorità: non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato. Una norma così semplice da sembrare perfino realizzabile, perfino praticabile: una insurrezione di onestà, la semplice rivolta degli onesti: almeno non rubate!

Vengono anche dei soldati, la polizia di Erode: hanno la forza dalla loro, estorcono pizzi e regalie; dicono di difendere le legge e la violano: voi non maltrattate e non estorcete niente a nessuno. Non abusate della forza o della posizione per offendere, umiliare, far piangere, ferire, spillare soldi alle persone.

Niente di straordinario. Giovanni non dice “lascia tutto e vieni nel deserto”; semplici cose, fattibili da chiunque: non accumulare; se hai, condividi; non rubare e non usare violenza.

Il brano si conclude con Giovanni che alza lo sguardo: viene uno più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. È il più forte non perché si impone e vince, ma perché è l’unico che parla al cuore, l’unico che “battezza nel fuoco“. Ha acceso milioni e milioni di vite, le ha accese e le ha rese felici.

Questo fa di lui il più forte. E il più amato.

don Alfedo Di Stefano

 

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-049

2024 – Echi di Vita N°49 – IL NOME DELL’UOMO? ‘ECCOMI’

L’annunciazione è l’estasi della storia: viene ciò che l’umanità da sola non può darsi. La storia esce da se stessa, si ricentra su di un altro cardine, si illumina di un altro sole.

Tre volte parla l’angelo: una parola di gioia, “kaire”; una contro la paura, “non temere”; un’ultima parola perché ci sia vita nuova, “lo Spirito verrà e sarai madre”.

L’angelo propone le tre parole assolute: gioia, fine di ogni paura e vita.

“Rallegrati”, “Non temere”, “Ecco verrà una vita”.

Sono le tre parole che angeli e profeti ripetono dentro tutta la nostra storia, dentro tutta la Scrittura per chi non voglia che di lui sia detto ciò che dicevano di Elisabetta: «Ecco, tutti la dicono sterile».

Toccano le corde più profonde di ogni esistenza umana: il bisogno di felicità, la paura che è madre di inganno e di violenza, l’ansia divina di dare la vita.

L’angelo ci assicura che i segni dell’avvicinarsi di Dio sono questi: si moltiplica la gioia, la paura si dissolve, risplende la vita.

Prima parola: «Sii felice Maria, Dio ha posto in te il suo cuore».

Il primo vangelo è lieta notizia, qualcosa precede ogni nostra risposta.

L’angelo non dice: «Fai questo o quello, ascolta, prega, vai». Semplicemente: «Gioisci, Maria», sii felice perché, lo sai, la felicità viene dai volti; anche Giuseppe e il suo pensiero e il suo volto ti fanno felice, ma ora è qui colui che è il volto dei volti, è con te, ha posto in te il suo cuore; gli altri sono solo frammenti di quel volto, gocce di luce di quella luce; Dio è con te con quell’abbraccio di cui quelli sulla terra sono solo parabole, solo nostalgia.

Sii felice, tu sei amata teneramente, gratuitamente, per sempre. Il nome di Maria è «amata per sempre». E la sua funzione nella chiesa è di ricordare nel suo stesso nome questo amore che porta gioia.

Non temere Maria. Non temere se Dio non prende la strada dell’evidenza, dell’efficienza, della grandezza; non temere se Dio, l’Altissimo, si nasconde in un piccolo embrione umano, non temere le nuove vie di Dio, così lontane dalla scena, dalle luci, dai palazzi della città, dalle emozioni solenni del tempio, non temere questo Dio bambino, che vivrà solo se tu lo amerai.

Dio vivrà per il tuo amore. Sarà felice se tu lo farai felice.

Tre volte parla l’angelo, tre volte risponde Maria, prima con il silenzio e il turbamento, poi con il desiderio di capire, infine con il servizio.

La prima azione di Maria è ascoltare questo angelo inatteso e sconcertante. Primo passo per chiunque voglia entrare in un rapporto vero con le creature o con Dio, con uomini o angeli, l’arte dell’ascolto.

Con la sua ultima parola rivela il nostro vero nome. Il nome dell’uomo è: «Eccomi!».

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-048

2024 – Echi di Vita N°48 – SE NON ALZI IL TUO CAPO, NON VEDRAI L’ARCOBALENO

Ricomincia da capo l’anno liturgico, quando ripercorreremo un’altra volta tutta la vita di Gesù.

L’anno nuovo inizia con la prima domenica d’Avvento, il primo giorno di un cammino che conduce a Natale, che è il perno attorno al quale ruotano gli anni e i secoli, l’inizio della storia nuova, quando Dio è entrato nel fiume dell’umanità.

Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per ciò che dovrà accadere.

Il Vangelo non anticipa la fine del mondo, racconta il segreto del mondo: ci prende per mano e ci porta fuori, a guardare in alto, a sentire il cosmo pulsare attorno a noi; ci chiama ad aprire le finestre di casa per far entrare i grandi venti della storia, a sentirci parte viva di una immensa vita. Che patisce, che soffre, ma che nasce.

Il mondo spesso si contorce come una partoriente, dice Isaia, ma per produrre vita: è in continua gestazione, porta un altro mondo nel grembo. La terra risuona di un pianto mai finito, ma il Vangelo ci domanda di non smarrire il cuore, di non camminare a capo chino, a occhi bassi.

Risollevatevi, alzate il capo, guardate in alto e lontano, la liberazione è vicina.

Siamo tentati di guardare solo alle cose immediate, forse per non inciampare nelle macerie che ingombrano il terreno, ma se non risolleviamo il capo non vedremo mai nascere arcobaleni.

Uomini e donne in piedi, a testa alta, occhi nel sole: così vede i discepoli il Vangelo. Allora il nostro compito è di sentirci parte dell’intero creato, avvolti da una energia più grande di noi, connessi a una storia immensa, dove anche la mia piccola vicenda è preziosa e potente.

Gesù chiede ai suoi leggerezza e attenzione, per leggere la storia come un grembo di nascite. Chiede attenzione ai piccoli dettagli della vita e a ciò che ci supera infinitamente.

Chiede un cuore leggero e attento, per vegliare sui germogli, su ciò che spunta, sul nuovo che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce che si disegna sul muro della notte o della pandemia, sui primi vagiti della vita e dei suoi germogli.

Il Vangelo ci consegna questa vocazione a una duplice attenzione: alla vita e all’infinito. La vita è dentro l’infinito e l’infinito è dentro la vita; l’eterno brilla nell’istante e l’istante si insinua nell’eterno.

In un Avvento senza fine. Buon cammino!

don Alfredo Di Stefano

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SAN-Lorenzo-Parrocchia-IT-ECHI-DI-VITA-2024-N-047

2024 – Echi di Vita N°47 – LA REGALITA’ DI CRISTO E’ PIENEZZA DI UMANO

Due uomini, Pilato e Gesù, uno di fronte all’altro.

Il confronto di due poteri opposti: Pilato, circondato di legionari armati, è dipendente dalle sue paure; Gesù, libero e disarmato, dipende solo da ciò in cui crede.
Un potere si fonda sulla verità delle armi e della forza, l’altro sulla forza della verità. Chi dei due uomini è più libero, chi è più uomo?
È libero chi dipende solo da ciò che ama. Chi la verità ha reso libero, senza maschere e senza paure, uomo regale.

 Dunque tu sei re? Il mio regno però non è di questo mondo.

Gesù rilancia la differenza cristiana consegnata ai discepoli: voi siete nel mondo, ma non del mondo. I grandi della terra dominano e si impongono, tra voi non sia così. Il suo regno è differente non perché riguardi l’al di là, ma perché propone la trasformazione di «questo mondo».

     I regni della terra si combattono, i miei servi avrebbero combattuto per me: il potere di quaggiù ha l’anima della guerra, si nutre di violenza. Invece Gesù non ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Dove si fa violenza, dove si abusa, dove il potere, il denaro e l’io sono aggressivi e voraci, Gesù dice: non passa di qui il mio regno.

I servi dei re combattono per i loro signori. Nel suo regno no! Anzi è il re che si fa servitore dei suoi: non sono venuto per essere servito, ma per servire. Un re che non spezza nessuno, spezza se stesso, non versa il sangue di nessuno, versa il suo sangue, non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi.

 

Pilato non può capire, si limita all’affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l’iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei. Che io ho sconfitto.

Ed è stato involontario profeta: perché il re è visibile proprio lì, sulla croce, con le braccia aperte, dove l’altro conta più della tua vita, dove si dona tutto e non si prende niente. Dove si muore ostinatamente amando. Questo è il modo regale di abitare la terra, prendendosene cura.

Pilato poco dopo questo dialogo esce fuori con Gesù e lo presenta alla folla: ecco l’uomo.

Affacciato al balcone della piazza, al balcone dell’universo lo presenta all’umanità: ecco l’uomo!

L’uomo più vero, il più autentico degli uomini. Il re. Libero come nessuno, amore come nessuno, vero come nessuno. La regalità di Cristo non è potere ma pienezza d’umano, accrescimento di vita, intensificazione d’umanità. A questo vogliamo guardare in questo Giubileo!

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2024 N 046

2024 – Echi di Vita N°46 – Il tesoro di bontà del nostro tempo: LA SPERANZA!

Un Vangelo sulla crisi e contemporaneamente sulla speranza, che non profetizza la fine del mondo, ma il significato del mondo.

La prima verità è che il mondo è fragile: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo… Non solo il sole, la luna, le stelle, ma anche le istituzioni, la società, l’economia, la famiglia e la nostra stessa vita sono molto fragili.

Ma la seconda verità è che ogni giorno c’è un mondo che muore, ma ogni giorno c’è un mondo che nasce. Cadono molti punti di riferimento, vecchie cose vanno in frantumi: costumi, linguaggi, comportamenti, ma ci sono anche sentori di nuove primavere. La speranza ha l’immagine della prima fogliolina di fico: Dalla pianta di fico imparate: quando spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina.

Allora dentro la fragilità drammatica della storia possiamo intuire come le doglie di un parto, come il passaggio dall’inverno alla primavera, come un uscire dalla notte alla luce. Ben vengano certe scosse di pri­mavera a smantellare ciò che merita di essere cancellato.

Due punti di forza. Il primo: quando vedrete accadere queste cose sappiate che Egli è vicino, il Signore è alle porte. La nostra forza è che Dio non ha chiuso il suo cuore e la sua strada passa ancora sul nostro mare d’Esodo, mare inquieto, mare profondo, anche se non ne vediamo le orme. A noi spetta assecondare la sua creazione. Come una nave che non è in ansia per la rotta, perché ha su di sé il suo Vento di vita.

Il secondo punto di forza è la nostra stessa fragilità. Per la sua fragilità l’uomo cerca appoggi, cerca legami e amore. Io sono tanto fragile da aver sempre bisogno degli altri. Ed è appoggiando una fragilità sull’altra che sosteniamo il mondo. Dio è dentro la nostra ricerca di legami, viene attraverso le persone che amiamo. I nostri familiari sono il linguaggio di Dio, la sua quotidiana catechesi, il tocco della sua presenza, sacramento della sua grazia.

Il profeta Daniele allarga la visione: «Uomini giusti e santi salgono nella casa delle luci, dove risplenderanno come stelle», vicino a me, lontano da me, da mille luoghi salgono nella casa della luce: sono coloro che inducono me e tutto il mondo a essere più giusto, più libero e santo.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2024 N 045

2024 – Echi di Vita N°45 – E’ NEL CUORE LA VERA BILANCIA DI DIO

C’è un luogo nel tempio dove tutti passano.
Gesù siede lì, davanti ai tredici piccoli forzieri delle offerte, di fronte al sacerdote che controlla la validità delle monete e dichiara a voce alta, per la folla, l’importo dell’offerta.
In quel luogo, dove il denaro è proclamato, benedetto, invidiato, esibito, Gesù osserva invece le persone, e nota tra la folla una vedova, povera e sola: non ha più nessuno, non è più di nessuno, e perciò è di Dio.

«L’uomo guarda le apparenze, Dio guarda il cuore» (1 Sam 16,7), ed ecco che il denaro si dissolve, è pura apparenza, il tesoro è la persona.
Nel Vangelo di norma i poveri chiedono e supplicano, ora un povero non chiede nulla per sé, ma è capace di dare tutto.
Allora Gesù chiama i discepoli, è l’ultima volta in Marco, e indica un maestro della fede in una donna povera e sola, capace di dare anche l’ultimo sorso, gli ultimi spiccioli di vita.

Tutti danno del loro superfluo e i loro beni restano intatti; lei invece dà ciò che ha per vivere e le rimane solo Dio.
D’ora in poi, se vivrà, lo farà perché quotidianamente dipendente dal cielo.
Ma chi ha il coraggio di dare tutto, non si meraviglierà di ricevere tutto.

Beati i poveri che non hanno cose da dare, e perciò hanno se stessi da dare.
Come un povero, puoi donare ciò che hai per vivere, ma ancor più ciò che ti fa vivere: le spinte, le sorgenti, le passioni vitali.
Non c’è vita insignificante o troppo piccola, nessuno è così povero o debole, nessuno così vuoto o cattivo da non poter donare la ricchezza delle esperienze, le intuizioni, le forze del cuore, le energie della mente, il segreto della bellezza che ha visto e goduto, i motivi della sua gioia, i perché della sua fede.

E ricominciamo, con il magistero di una donna, a misurare il mondo non con il criterio della quantità, ma con quello del cuore.
Non c’è nessun capitalismo nella carità, agli occhi di Colui che guarda il cuore, la quantità non è che apparenza. Ciò che conta non è il denaro, ma quanto amore vi è stato messo, quanta vita contiene.

Talvolta tutto il Vangelo è racchiuso in un bicchiere d’acqua fresca, dato solo per amore.
Tutta la fede è in due spiccioli, dati con tutto il cuore.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2024 N 044

2024 – Echi di Vita N°44 – AMARE DIO PER AMARE L’UMANITA’

Amerai Dio con tutto il tuo cuore. Amerai il prossimo tuo come te stesso.

Che cosa c’è al centro della fede? Ciò che più di ogni cosa dona felicità all’uomo: amare.

Non obbedire a regole né celebrare riti, ma semplicemente, meravigliosamente: amare.

Gesù non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla legge antica: il primo e il secondo comandamento sono già nel Libro. Eppure il suo è un comando nuovo.

La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l’unico comandamento. L’averli separati è l’origine dei nostri mali.

La risposta di Gesù inizia con la formula: “Shemà Israel” = ascolta popolo mio.

Fa tenerezza un Dio che chiede:

«Ascoltami, per favore. Voglimi bene, perché io ti amo. Amami!»

Invocazione, desiderio di Dio. Cuore del comandamento, sua radice è un’invocazione accorata, non una ingiunzione. Dio prega di essere amato.

Amare è desiderio di fare felice qualcuno, coprirlo di un bene che si espande oltre lui, va verso gli altri, inonda il mondo… Amare è avere un fuoco nel cuore.

Ma amare che cosa? Amare l’Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza. Amerò ogni briciola di cosa bella che scoprirò vicino a me, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un’intuizione illuminante. Amerò ciò che Lui più ama: l’uomo, di cui è orgoglioso.

Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente, cuore, mente, anima, forza. Gesù sa che fare questo è già la guarigione dell’uomo. Perché chi ama così ritrova l’unità di se stesso, la sua pienezza felice.  Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica; perché tu sia felice. Non c’è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell’uomo, nessun’altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amare.

Ama il tuo prossimo come te stesso. Quasi un terzo comandamento: ama anche te stesso, insieme a Dio e al prossimo. Come per te ami libertà e giustizia, così le amerai anche per tuo fratel­lo, sono le orme di Dio. Come per te desideri amicizia e dignità, e vuoi che fioriscano talenti e germogli di luce, questo vorrai anche per il tuo prossimo.

Ama questa polifonia della vita, e farai risplendere l’immagine di Lui che è dentro di te. Perché l’amore trasforma, ognuno diventa ciò che ama. Amerai, perché l’amore genera vita sul mondo.

don Alfredo Di Stefano

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2024 N 043

2024 – Echi di Vita N°43 – IL TEMPO DELLA SINCERA COMPASSIONE

Un mendicante cieco: l’ultimo della fila, seduto lungo la strada come chi si è fermato e si è arreso. E improvvisamente passa Gesù, uno che non permette all’uomo di arrendersi, ed ecco che tutto sembra mettersi di nuovo in moto.

Bartimeo comincia a gridare: Gesù abbi pietà di me! La folla fa muro e lo sgrida, perché i poveri disturbano, sempre: ci fanno un po’ paura, sono là dove noi non vorremmo mai essere, sono il lato doloroso della vita, ciò che temiamo di più.

Ma è proprio sulla povertà dell’uomo ciò su cui si posa sempre il primo sguardo di Gesù, non sulla moralità di una persona, ma sul suo dolore: «Coraggio, alzati, ti chiama». E subito, tutto sembra eccessivo, esagerato: il cieco non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza in piedi, ma ‘balza’ in piedi.

La fede è questo: un eccesso, un di più illogico e bello, una dinamica nuova in tutto ciò che fai. La fede è qualcosa che moltiplica la vita. Credere fa bene, la fede produce una vita buona, il rapporto con Cristo è l’avvio della guarigione di tutta l’esistenza.

Il cieco comincia a guarire già nell’accoglienza e nella compassione di Gesù. Ha bisogno, come tutti, che per prima cosa qualcuno lo ascolti: ascolti le sue ferite, la sua speranza, la sua fame, il suono vero delle sue parole, uno che gli voglia bene! Guarisce nella voce che lo accarezza. Guarisce come uomo, prima che come cieco, l’ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri perché chiamato con amore.

«Balza in piedi» e lascia ogni sostegno, per precipitarsi, senza vedere, verso quella voce che lo chiama, orientandosi solo sulla parola di Cristo, che ancora vibra nell’aria. Come lui, ogni cristiano si orienta nella vita senza vedere, solo sull’eco della parola di Dio ascoltata con fiducia, là dove risuona: nel vangelo, nella coscienza, negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato.

Che bella questa espressione amorevole di Gesù: «Cosa vuoi che io ti faccia?». Se un giorno io sentissi, con un brivido, queste stesse parole rivolte a me, che cosa chiederei al Signore? Una domanda che è come una sfida, una prova per vedere che cosa portiamo nel cuore.

Gesù insegna instancabilmente qualcosa che viene prima di ogni miracolo, insegna la compassione, che rimane l’unica forza capace di far compiere miracoli ancora oggi, di riempire di speranza il dolore del mondo. Noi saremo come Cristo non se faremo miracoli, ma se sapremo far sorgere nel mondo il tempo della divina compassione.

don Alfredo Di Stefano

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