Davanti al rifiuto Gesù mostra una dedizione incondizionata. Chiuso tra lo stupore della gente di Nazaret e la dolorosa meraviglia di Gesù, il racconto si impernia su cinque domande che contengono ben più di un conflitto di sentimenti: contengono lo scandalo della fede.
«Da dove gli vengono queste cose, questa sapienza, questi prodigi, da dove?» C’è qui “un di più“, una rivelazione che non è il frutto della nostra esperienza, per quanto ampliata e approfondita, ma la contesta.
Il suo vangelo viene da fuori, ha un’altra origine. Ma presto, subito, lo stupore evolve verso il rifiuto: «non è costui il falegname, il figlio di Maria, non ha quattro fratelli e alcune sorelle? che cos’ha più di noi?».
Ora è la normalità che contesta la profezia. Ogni generazione dissipa così i suoi profeti.
Il Figlio di Dio non può venire in questo modo, con mani da carpentiere, segnato dalla fatica, con problemi familiari, e nulla di sublime.
Che Dio sia così, ecco lo scandalo della fede, che la forza della Parola si rivesta di debolezza e di quotidiano, che la potenza di Dio sia tutta nell’impotenza della croce.
E la logica umana aggiunge: hai un mestiere e una casa, cosa vai cercando con il cuore fra le nuvole? Hai la tua famiglia, la sinagoga e il Libro: bastano a spiegare tutto, sono il senso del vivere, la tua identità. Quale altro mondo vieni ora a proporre?
Quale esso sia, appare alla fine del brano, quando Marco registra la meraviglia e la delusione di Gesù: «e non vi poté operare nessun prodigio». Ma subito si corregge: «solo impose le mani a pochi malati e li guarì».
Ecco il mondo nuovo: il Dio rifiutato si fa guarigione, l’amante respinto continua ad amare; l’amore non è stanco, è solo stupito; non nutre rancori, continua a inviare segnali di vita. Qualunque sia l’atteggiamento del popolo, ascoltino o non ascoltino, Dio ha deciso di farsi compagnia del suo popolo, di essere lì, anche in esilio, profeta inascoltato, a condividere tutto dell’uomo, a scegliere ciò che nel mondo è debole per confondere i forti.
E «quando sono debole è allora che sono forte», forte di quanta forza ha la Parola che bussa alla mia porta chiusa, a stupire i miei no.
In principio, lo stupore. Un sentimento debole, una breve eccitazione, se non trova la strada del cuore. Maestra di stupore è per noi santa Maria, che si stupiva e non capiva, ma conservava e meditava tutte queste cose nel suo cuore. Così noi: conservare e meditare queste cose, e sempre nel cuore, perché ci sia dato di salvare almeno lo stupore.
don Alfredo Di Stefano
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