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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 032 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°32 – NELLA NOTTE L’ABBRACCIO CHE SALVA

Vangelo di paure? Gesù dapprima assente, poi come un fantasma, infine come una mano salda che ti afferra. Un crescendo di fede.

Eppure egli è già qui, da subito, è la sorgente della forza dei rematori, è la tenacia del timoniere, è negli occhi di tutti fissi a oriente.

E la barca, simbolo della comunità e della vita, intanto avanza non per il morire del vento, ma per il prodigio di rematori che non si arrendono e si sostengono l’un l’altro, primo miracolo.

Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque, domanda Pietro. E venne da Gesù. Pietro cammina sulle acque, perché guarda a Lui; poi inizia ad affondare, perché guarda il vento ed ha paura. Guarda al Signore e alla sua chiamata, e va; poi guarda alle onde, alle proprie difficoltà, e inizia la discesa nell’angoscia.

 

Eterno oscillare tra fede e dubbio. E tra i due, come salvezza, un grido: Signore salvami! Grido di fede, di paura, grido di morente, radice della fede: perché qualsiasi dubbio può essere redento anche da una sola invocazione gridata di notte, nella tempesta, nel vento, sulla croce.

Pietro mostra che il miracolo di camminare sul mare non serve a rafforzare la fede: cammina e già dubita. Un giorno seguirà il Signore, ma non più attratto dal suo camminare sulle acque, bensì dal suo camminare verso il calvario; andrà dietro a colui che sa far tacere non tanto il vento e il mare, ma tutto ciò che non sia amore; dietro a colui che sa farsi prossimo sulla polvere di ogni strada e non sul luccichio di acque miracolose.

Pietro è uomo di poca fede non perché dubita del potere di Gesù, ma proprio perché chiede miracoli, perché cerca l’onnipotenza di Dio più che il calore semplice della sua mano.

Gesù invece abbraccia la debolezza della croce, anzi la forza immensa della croce e per questo verrà in aiuto a chiunque è sorpreso al largo, è catturato dalla tempesta, sta affondando. Signore, salvami! È là che Gesù ci raggiunge. Ci raggiunge e non punta il dito contro i nostri dubbi, ma stende la mano per afferrarci.

 

Il grido di Pietro ci insegna a non temere la nostra piccola fede. Forse occorreva questo principio d’affondamento nelle acque, della disperazione, per trovare il coraggio di affidarci a Gesù, di gridare a Lui.

Allora verrà. Ma verso la fine della notte. Verrà, ma dopo la lunga lotta, lui, sì, camminando sul mare. Verrà, dentro la nostra poca fede, a salvarci da tutti i naufragi.

E il grido diverrà abbraccio, tra l’uomo e il suo Dio.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 031 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°31 – IL PANE CONDIVISO TRA TUTTI DIVENTA PANE DI DIO

Una sera, in riva al lago, cinquemila uomini con donne e bambini: un amore li ha condotti nel deserto, al limite della notte, Gesù.

I discepoli, uomini pratici, dicono: “Congedali perché vadano a comprarsi da mangiare”. Il maestro ribatte: “Date loro voi stessi da mangiare”.

Due atteggiamenti opposti, riassunti da due verbi: comprare o dare.

 

Comprare, dicono gli apostoli. Ed è la nostra mentalità: se vuoi qualcosa, lo devi pagare. Non c’è nulla di scandaloso, ma neppure nulla di grande in questa nostra logica dove trionfa l’eterna illusione dell’equilibrio del dare e dell’avere.

In questo sistema chiuso, prigioniero della necessità, Gesù introduce il suo verbo: date voi stessi da mangiare. Non già: vendete, scambiate, prestate; ma semplicemente, radicalmente: date. E sul principio della necessità comincia a spuntare, a sovrapporsi un altro principio: la gratuità, l’amore senza calcoli, il disequilibrio, dare senza aspettarsi niente. Solo la gioia, forse.

 

Ci sono molti miracoli in questo racconto, e il primo è che nulla, neppure la fame, il deserto o la notte, separa quei cinquemila dal fascino di Cristo; poi viene quello dei cinque pani che passano dalle mani di uno alle mani di tutti.

Il miracolo della moltiplicazione comincia quando il pane da mio diventa nostro, nostro pane quotidiano. Il pane per me stesso è una questione materiale, il pane per il mio vicino è una questione spirituale.

Dacci il nostro pane, diciamo. Ma quella domanda rimbalza da Dio fino a noi: date loro voi stessi da mangiare; date e vi sarà dato, una misura piena, abbondante.

Misteriosa regola del Regno: poco pane, condiviso tra tutti, è sufficiente, diventa il pane di Dio.

La fame comincia quando io tengo il mio pane per me, quando l’Occidente tiene il suo pane per sé.

In questo nostro mondo il primo miracolo, impossibile e pure necessario, è la condivisione. Sfamare la terra è un miracolo possibile se la condivisione si fa possibile. La moltiplicazione verrà, perché chi condivide convoca Dio, lo provoca, mette il pane nelle sue mani, diventa dipendente dal cielo, e Dio non abbandona. Cinque pani basteranno per una folla, e i pezzi avanzati riempiranno dodici ceste. Nulla andrà perduto, nulla è troppo piccolo per non servire alla comunione.

Il Signore sia il nostro vero affamatore, e sapremo dare pane a chi ha fame, e accendere fame di cose grandi in chi è sazio di solo pane.

don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 030 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°30 – COME UN TESORO NASCOSTO…

Come un tesoro. Tesoro: parola magica, così poco usata nella religione, parola d’innamorati, di favole, di storie grandi.

E di Vangelo. Che capovolge la vita, contiene tutte le speranze, rilancia tutti i desideri.

Un tesoro ci attende: a dire che l’esito della storia sarà comunque felice; che nell’uomo è posto un eccesso di desiderio che nessuna cosa concreta o quotidiana potrà esaurire.

Nascosto in un campo: che è il mondo, che è il cuore; e la vita altro non è che un pellegrinaggio verso il luogo del cuore, là dove maturano tesori.

Il protagonista vero della parabola non è il contadino, ma il tesoro: Cristo, e la pienezza di umanità che Lui è venuto a portare.

Dal tesoro deriva una seconda parola: per la gioia quell’uomo va, vende, compra.

È la gioia, radice della vita, che muove, mette fretta, fa decidere.

Noi non avanziamo nella vita a colpi di volontà, ma solo per scoperta di tesori (là dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore); per passione di bellezza (mercanti che cercano le perle più belle); per riserve di gioia che Qualcuno, uomo o Dio, amore o tesoro, seme o spiga, colma di nuovo.

Chiedi al Signore la gioia ed Egli ti risponderà dandoti la vita.

Gioia non facile, quindi: c’è un campo da lavorare, rovi e sudore, un tesoro da trovare e nascondere, un tutto da vendere e investire.

Dio vuole che il suo dono diventi nostra conquista. Ma la parola centrale è tesoro!

Il cristianesimo non è rinuncia o sacrificio, è un tesoro: Dio in me, pienezza d’umano, vita bella, estasi della storia. E mettervi tutte le mie energie. Allora lascio tutto, ma per avere tutto. Vendo tutto, ma per guadagnare tutto.

Un tesoro ci attende. E lo Spirito santo è questo soffio divino che fa nascere i cercatori d’oro.

Immaginiamo allora una storia, personale e collettiva, costellata di tesori; sentiamo la vita come intrisa di perle e della loro bellezza.

E noi a intingere la spola dei nostri giorni, i nostri sogni dentro tesori, dentro la gioia.

Il tesoro non si compra, è un dono. L’uomo compra solo  il campo.

 

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 029 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°29 – PAZIENZA, OPERAI DEL REGNO

Il cuore della parabola di oggi è molto semplice: nella nostra vita il bene e il male crescono insieme in un intreccio che l’uomo non deve districare, lasciando a Dio di compiere tale opera nella pienezza dei tempi. Ci sconcerta l’agire di Dio.

Dio invita ad aspettare, a pazientare. E ne spiega la ragione: strappando anzitempo la zizzania, molto simile al grano all’inizio della sua crescita, si potrebbe erroneamente strappare qualche spiga. Dal nostro punto di vista è un danno collaterale: cosa volete che sia qualche spiga al cospetto dell’intero raccolto salvato?

Il punto di vista di Dio, al solito, è diverso. La soluzione c’è: pazientare per vedere il frutto, per poterlo distinguere. E, a questo punto, intervenire tagliando entrambi, grano e zizzania e separandoli. L’uno nel fuoco, l’altro nel granaio.

 

Il padrone non nega la necessità della separazione. Dice solo che non è ancora il tempo e che non spetta agli uomini decidere quando sia il momento. La pazienza è necessaria perché noi uomini non siamo in grado di compiere la cernita. E perché è Dio ad avere stabilito l’ora della separazione, non noi.

Noi non siamo in grado di operare correttamente la cernita, non scherziamo. Grossolani come siamo, e anche un po’ autoreferenziali, noi uomini corriamo il rischio di giudicare gli altri dal nostro punto di vista, anche appellandoci a convinzioni profonde.

 

Nella Storia noi cristiani abbiamo compiuto degli abomini, facendo l’esatto contrario di ciò che insegnava il vangelo… appellandoci al vangelo!

Ci vogliono, invece, un po’ di buon senso e di sana prudenza, al fine di moderare lo zelo della distruzione e della soluzione finale che tutti portiamo nel cuore.

È Dio ad avere stabilito l’ora della separazione. E ne intuiamo le ragioni: solo dal frutto riusciamo a cogliere la bontà della pianta. Se una spiga è buon grano o zizzania lo capiamo solo quando vediamo il frutto gonfiare lo stelo.

 

L’apparenza inganna, e Dio lo sa bene. Persone che sembrano lontane da Dio, travolte dall’ombra, impestate, possono cambiare, convertirsi, fare buon frutto. Perciò i cristiani, inguaribili ottimisti, cocciuti nella speranza, pensano sempre che una persona possa cambiare in meglio. E come tali dovrebbero agire.

Gesù chiede di pazientare perché sa bene che il cuore dell’uomo può cambiare.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 028 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°28 – COS’E’ IL CROCIFISSO PER NOI?

Anche quest’anno, benché in tempo di pandemia, siamo davanti al SS. Crocifisso, venerato da secoli come cimelio prezioso di fede, “eredità bella” trasmessa dai vostri padri.

Cos’è il Crocifisso per noi?

La Chiesa già nei primi secoli, nell’adorare Cristo e l’Eucaristia, ha adorato la croce esprimendosi con termini di assoluta chiarezza e commozione: O Croce, unica speranza, sorgente di vita immortale, accresci ai fedeli la grazia, ottieni alle genti la pace”.

Siamo chiamati a vivere la croce del Signore ogni giorno nel contesto della nostra vita, fatta di sacrifici, sconfitte, momenti di scoraggiamento, da vivere con la certezza lieta che, attraverso il sacrificio, matura in noi la resurrezione del Signore.

Mostrare il Crocifisso esprime la volontà e il desiderio di evangelizzare, oggi, il nostro territorio.

Passare con il Crocifisso per le strade esprime il nostro sentimento di compassione verso le persone malate e sole, verso i cristiani perseguitati e crocifissi come Gesù, verso le persone che a causa della pandemia si trovano nella precarietà, nella disoccupazione, nella minaccia di essere licenziati, verso gli immigrati, verso i carcerati, verso coloro che vivono senza fede e senza speranza.

La festa del Crocifisso generi un grande movimento di evangelizzazione, un grande movimento di compassione, un grande movimento di umanizzazione della vita del nostro territorio. Renda la nostra città più capace di comprensione, più capace di accoglienza, più capace di perdono.

Il Crocifisso può forse essere strappato dalle mura delle nostre scuole o degli edifici pubblici, ma non dal nostro cuore.

Fissando lo sguardo a Lui e pensando alle nostre croci e ai nostri peccati, invochiamo da Cristo Crocifisso la grazia della conversione, del pentimento, del proposito di vivere una vita nuova.

Fare festa intorno al Crocifisso vuol dire “esaltare” e mettere in evidenza lo stile di vita di Cristo, fatto di amore vissuto fino allo stremo delle forze.

Preghiamo il Signore, pastore e custode delle nostre anime, perché, nel coraggio della testimonianza quotidiana, proclamando il Crocifisso con la nostra vita e la nostra fede, con la nostra speranza e  la nostra carità, possiamo aiutare noi e il nostro territorio ad uscire da questo momento ancora difficile.

Don Alfredo Di Stefano

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 027 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°27 – E’ GUARDANDO I PICCOLI CHE S’IMPARA L’ARTE DI BENEDIRE

Ti benedico o Padre perché hai rivelato queste cose ai piccoli

Il Battista è in carcere, in Galilea crescono rifiuto e ostilità, i miracoli di Cafarnao e di Betsaida non servono, eppure, nel pieno della crisi, Gesù benedice il Padre, fermandosi improvvisamente come incantato davanti ai suoi, ai piccoli. I piccoli sono coloro che ce la fanno a vivere solo se qualcuno si prende cura di loro, come i bambini.

 

Dio è vicino a ciò che è piccolo, ama ciò che è spezzato Quando gli uomini dicono: “perduto“, egli dice: “trovato“: quando dicono: “condannato“, egli dice: “salvato“; quando dicono: “abbietto“, Dio esclama: “beato!”.

 

Per entrare nel mistero di Dio vale più un’ora passata ad addossarsi la sofferenza e il mondo di uno di questi piccoli, che anni di studi di discussione.

Per conoscere il mistero delle persone e la fiamma delle cose, bisogna accostarle come piccoli, con stupore, con mani che non prendono, ma solo accarezzano.

Per imparare a benedire di nuovo il mondo e le persone, bisogna imparare a guardare i piccoli, la gente da poco, il loro cuore vero, e lì troveremo innumerevoli motivi per benedire, ragioni grandi perché il lamento non prevalga più sullo stupore.

 

Gesù parla di cose rivelate, eppure ciò che è offerto alla fine del brano è tutt’altro rispetto al conoscere delle cose su Dio. C’è offerta l’unica cosa che conta davvero, l’unica che manca, e non è la virtù, non l’intelligenza o la sapienza; l’unica cosa che il cuore cerca, l’unica che Gesù non insegna, ma riversa su chi gli è vicino: imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime.

 

Gesù non viene con obblighi e divieti, viene recando una coppa colma di pace; non porta precetti nuovi, ma una promessa: il regno è iniziato ed è pace e gioia nello Spirito. E attraverso il riposo e la pace del nostro cuore in migliaia attorno a noi saranno salvati, troveranno ristoro. Ristoro dell’esistenza è un amore umile, un cuore in pace, senza violenza e senza presunzione.

 

Imparate dal mio cuore… 

Cristo si impara imparandone il cuore, il modo di amare: l’amore infatti non è un maestro fra gli altri maestri, è il maestro della vita. Inizia il discepolato del cuore, per noi, sapienti e intelligenti, che corriamo il rischio di restare analfabeti del cuore: perché Dio non è un concetto, ma il cuore dolce della vita, e il Vangelo è la pienezza dell’umano.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 026 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°26 – LA LEGGE DELL’ AMORE IN UN BICCHIERE D’ ACQUA

Un Dio che pretende di essere amato più di padre e madre, più di figli e fratelli, che sembra andare contro le leggi del cuore. Non è degno di me. Per tre volte rimbalza dalla pagina questa affermazione dura del Vangelo. Ma chi è degno del Signore? Nessuno, perché il suo è amore incondizionato, amore che anticipa, senza clausole. Un amore così non si merita, si accoglie.

 

Chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà! Perdere la vita per causa mia non significa affrontare il martirio. Una vita si perde come si spende un tesoro: investendola, spendendola per una causa grande. Il vero dramma per ogni persona umana è non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena mettere in gioco o spendere la propria vita.

Chi avrà perduto, troverà. Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato ad altri, come la donna di Sunem della Prima Lettura, che dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada e riceverà in cambio una vita intera, un figlio. E la capacità di amare di più.

 

A noi, forse spaventati dalle esigenze di Cristo, dall’impegno di dare la vita, di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà la sua ricompensa.

Il dare tutta la vita o anche solo una piccola cosa, la croce e il bicchiere d’acqua sono i due estremi di uno stesso movimento: dare qualcosa, un po’, tutto, perché nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con il verbo dare.

Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Non c’è amore più grande che dare la vita!

Un bicchiere d’acqua, dice Gesù, un gesto così piccolo che anche l’ultimo di noi, anche il più povero può permettersi. E tuttavia un gesto non banale, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo che Gesù aggiunge, così evangelico e fragrante: acqua fresca.

Acqua fresca deve essere, vale a dire l’acqua buona per la grande calura, l’acqua attenta alla sete dell’altro, procurata con cura, l’acqua migliore che hai, quasi un’acqua affettuosa con dentro l’eco del cuore.

Dare la vita, dare un bicchiere d’acqua fresca, ecco la stupenda pedagogia di Cristo. Un bicchiere d’acqua fresca, se dato con tutto il cuore, ha dentro la Croce.

Tutto il Vangelo è nella Croce, ma tutto il Vangelo è anche in un bicchiere d’acqua. Nulla è troppo piccolo per il Signore, perché ogni gesto compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 025 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°25 – QUELLA TENEREZZA DEL PADRE CHE INCORAGGIA LA SPERANZA

Voi valete più di molti passeri! La tenerezza di un Dio che si prende cura dei passeri, che tiene conto delle mie cose più fragili ed effimere: mi conta i capelli in capo. Sono un passero che ha il nido nelle mani di Dio, eppure ho paura, perché i passeri continuano a cadere a terra, continuano a morire bambini a migliaia, venduti per poco più di due denari.

 

Lui lo sa e ripete per tre volte: Non temete, non abbiate paura, non abbiate timore. Neppure un passero cade a terra senza che Dio lo voglia. Ma allora è Dio che spezza il volo? È Lui che vuole la morte? No.

Nulla accade nell’assenza di Dio; invece molte, troppe cose accadono contro il volere del Padre. E allora il dramma non è solo nostro, esso è anche di Dio. Che è presente, partecipa, si china su di me, intreccia la sua speranza con la mia, il suo respiro con il mio, la sua parola con la mia, Dio non si colloca tra salute e malattia, ma tra disperazione e fiducia.

 

Dio sta nel riflesso più profondo delle lacrime, per moltiplicare il coraggio. Non uccide gli uccisori di corpi, dice che qualcosa vale più del corpo.

Non placa le tempeste, dona energia per continuare a remare dentro qualsiasi tempesta. E noi proseguiamo nella vita per il miracolo di una speranza che non si arrende, di cuori che non disarmano.

Verranno notti e reti di cacciatori, verrà anche la morte, ma: nulla ci potrà separare dall’amore di Dio, né spada, né morte, né angeli, né demoni (Rom 8,39).

Sì, è vero i passeri e i capelli contati hanno da attraversare la morte. Ma nulla andrà perduto. Gesù ci insegna a proclamare il diritto a che mi sia restituito fino all’ultimo capello di quel corpo che ha sofferto e testimoniato che la vita appartiene solo a Dio.

 

Temete piuttosto chi ha il potere di far morire l’anima. L’anima può morire! Mortali sono la superficialità, l’indifferenza, l’ipocrisia, quando disanimi gli altri attorno a te, togli anima e coraggio e innocenza, deridi gli ideali e gli innamorati.

È il disamore che fa morire. Di un peccatore si può fare un santo, ma di coloro che non sono niente, né cristiani, né pagani, né appassionati né freddi, né santi né peccatori, di loro, le anime morte, che cosa ne faremo?

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 024 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°24 – GESU’ PANE VIVO PER IL MONDO

Io sono il pane vivo: Gesù è stato geniale a scegliere il simbolo del pane.

Il pane è una realtà santa perché fa vi­vere, e che l’uomo viva è la prima legge di Dio e nostra. Il pane mostra come la vita dell’uomo è indissolubilmente legata ad un po’ di materia, dipende sempre da un poco di pane, di acqua, di aria, cose semplici che confinano con il mistero.

Le cose semplici sono le più divine: que­sto è proprio il genio del cristianesimo. In esso Dio e uomo non si oppongono più, materia e spirito si abbracciano e sconfinano l’uno nell’altro. È come se il movimento dell’incarnazione continuasse ogni giorno. Non dobbiamo disprezzare mai la terra, la materialità, perché in esse scende una vocazione divina: assicurare la vita, il dono più prezioso di Dio.

Se uno mangia di questo pane vivrà in e­terno. Una parola scorre sotto tutte le parole di Gesù nel Vangelo di oggi, e forma la nervatura del suo discorso: la parola «vita». Che hai a che fare con me, o Pane di Cristo? La risposta è una pretesa perfino eccessiva, perfino sconcertante, e tanto semplice: «Io ti faccio vivere».

Gesù è nella vita datore di vita, come lo è il pane. Il convincimento assoluto di Gesù è quello di poter offrire qualcosa che noi prima non avevamo: un incremento, un accrescimento, una intensificazione di vita per tutti coloro che fanno di lui il loro pane quotidiano.

Cristo diventa mio pane quando prendo la sua vita buona bella e beata, come misura, energia, seme, lievito della mia umanità.

Mangiare e bere la vita di Cristo è un evento che non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma che si moltiplica dentro il vivere quotidiano, si dissemina sul grande altare del pianeta, nella «messa sul mondo».

Io mangio e bevo la vita di Cristo quando cerco di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza, quando mi prendo cura con tenerezza di me stesso, degli altri e del creato. Quando cerco di fare mio il segreto di Cristo, allora trovo il segreto della vita.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.

La parola determinante: io in lui, lui in me. Questa è tutta la ricchezza del mistero. La ricchezza del mistero della fede è di una semplicità abbagliante: Cristo che vive in me, io che vivo in Lui.

Evento d’Incarnazione che continua: il Verbo di Dio che ha preso carne nel grembo di Maria, continua ostinato e infaticabi­e a incarnarsi in noi, ci fa tutti gravidi di Vangelo. Dio in me: il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola, un’unica vocazione: diventare, nella vita, pezzo di pane buono per tutti.

don Alfredo Di Stefano

 

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Parrocchia San Lorenzo - Echi di Vita 023 _ 2020

2020 – Echi di Vita N°23 – LA TRINITA’: UN LEGAME, UN ABBRACCIO DI COMUNIONE

Noi che siamo lenti a credere, ci vorrà forse tutta la vita non per capire, ma solo per assaporare un poco della fede, come potremo cogliere qualcosa della Trinità?

Una strada c’è, e non è quella delle formule e dei concetti. Pensare di capire la Trinità attraverso le formule è come tentare di capire una parola analizzando l’inchiostro con cui è scritta. Dio non è una definizione ma un’esperienza.

La Trinità non è un concetto da capire, ma una manifestazione da accogliere. In uno dei capolavori di Kieslowski sui Dieci Comandamenti, Decalogo I, il bambino protagonista sta giocando al computer. Improvvisamente si ferma e chiede alla zia: «Com’è Dio?». La zia lo guarda in silenzio, gli si avvicina, lo abbraccia, gli bacia i capelli e tenendolo stretto a sé sussurra: «Come ti senti, ora?». Pavel non vuole sciogliersi dall’abbraccio, alza gli occhi e risponde: «Bene, mi sento bene». E la zia: «Ecco, Pavel, Dio è così».

Dio come un abbraccio. Se non c’è amore, non vale nessun magistero. Se non c’è amore, nessuna cattedra sa dire Dio.

Dio come un abbraccio: è il senso della Trinità. Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione. L’oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d’amore.

Se il nostro Dio non fosse Trinità, vale a dire incontro, relazione, comunione e dono reciproco, sarebbe un Dio da delusione, assente e distratto.

Dio è estasi, cioè un uscire-da-sé in cerca di oggetti d’amore, in cerca di un popolo anche se di dura cervice, del quale farsi compagno di viaggio e ristoro entro l’arsura estrema del deserto.

Dio ha tanto amato il mondo, da mandare suo Figlio… E mondo e uomo sono storia della Trinità. Mosè, il grande amico di Dio, prega così: «Che il Signore cammini in mezzo a noi, venga in mezzo alla sua gente. Non resti sul monte, guida alta e lontana, ma scenda e si perda in mezzo al calpestio del popolo».

Tutta la sacra Scrittura ci assicura che nel calpestio del popolo, nella polvere dei sentieri, lo Spirito accende profeti ed orizzonti, il Padre rallenta il suo passo sul ritmo del nostro, il Figlio è salvezza che ci cammina a fianco. E questo ci sarebbe bastato. Invece l’Ascensione ha portato la nostra natura nel seno stesso della Trinità, quell’uomo già creato ad immagine non di Dio, ma della Trinità, l’uomo pensato come un abbraccio.

don Alfredo Di Stefano

 

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