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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 48

2020 – Echi di Vita N°48 – AVVENTO, L’ATTESA CHE APRE ALL’AMORE

Avvento è il tempo dell’attesa.

Il profeta Isaia apre le pagine di questi giorni come un maestro dell’attesa e del desiderio.

Si attende non per una mancanza, ma per una pienezza, una sovrabbondanza. Come fa ogni donna incinta, quando l’attesa non è assenza, ma evento di completezza e di totalità, esperienza amorosa dell’essere uno e dell’essere due al tempo stesso.

Il mio avvento è come di donna «in attesa», quando la segreta esultanza del corpo e del cuore deriva da qualcosa che urge e gonfia come un vento misterioso la vela della vita. Attendere con tutto me stesso significa desiderare, attendere è amare.

Così io attendo un Signore che già vive e ama in me; ogni persona attende un uomo e un Dio che già sono dentro di lei, ma che hanno sempre da nascere. L’umanità intera porta il Verbo, è gravida di un progetto, custodisce il sogno di tutta la potenzialità dell’umano, l’attesa di mille realizzazioni possibili, porta in sé l’uomo che verrà.

Attendere, allora, equivale a vivere. Ma a vivere d’altri. Un doppio rischio incombe su di noi: il «cuore indurito», secondo Isaia (perché lasci che si indurisca il nostro cuore?), e quella che Gesù chiama «una vita addormentata» (vegliate, vigilate, state attenti… che non vi trovi addormentati).

Qualcuno ha definito la durezza del cuore e la vita addormentata come «il furto dell’ anima» nel nostro contesto culturale.

Il furto della profondità, dell’attenzione, il vivere senza mistero, il furto del cuore tenero: è un tempo senza pietà, senza condivisione. Così è questo tempo di pandemia?

No, si tratta di vegliare su tutti gli “avventi” del mondo: sulle cose che nascono, sulla notte che finisce, sui primi passi della luce, custodendo germogli, e la loro musica interiore.

Vivere attenti è il nome dell’avvento.

Vivere attese e attenzioni, due parole che derivano dalla medesima radice: tendere verso qualcosa, il muoversi del corpo e del cuore verso Qualcuno che già muove verso di te.

Vivere attenti: agli altri, ai loro silenzi, alle loro lacrime e alla profezia; in ascolto dei minimi movimenti che avvengono nella porzione di realtà in cui vivo, e dei grandi sommovimenti della storia.

Attenti alla Vita che urge, tante volte tradita, ma ogni volta rinata.

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 47

2020 – Echi di Vita N°47 – IL PECCATO PIU’ GRANDE? SMARRIRE LO SGUARDO DI DIO

Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere… Dal Vangelo emerge un fatto straordinario: lo sguardo di Gesù si posa sempre, in primo luogo, sul bisogno dell’uomo, sulla sua povertà e fragilità.

E dopo la povertà, il suo sguardo va alla ricerca del bene che circola nelle vite: mi hai dato pane, acqua, un sorso di vita, e non già, come ci saremmo aspettati, alla ricerca dei peccati e degli errori dell’uomo. Ed elenca sei opere buone che rispondono alla domanda su cui si regge tutta la Bibbia: che cosa hai fatto di tuo fratello?

Quelli che Gesù evidenzia non sono grandi gesti, ma gesti potenti, perché fanno vivere, perché nascono da chi ha lo stesso sguardo di Dio. Grandioso capovolgimento di prospettive: Dio non guarda il peccato commesso, ma il bene fatto. Sulle bilance di Dio il bene pesa di più. Bellezza della fede: la luce è più forte del buio; una spiga di grano vale più della zizzania del cuore.

Ed ecco il giudizio: che cosa rimane quando non rimane più niente? Rimane l’amore, dato e ricevuto.

In questa scena potente e drammatica, che poi è lo svelamento della verità ultima del vivere, Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare fino a identificarsi con loro: quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l’avete fatto a me!

Gesù sta pronunciando una grandiosa dichiarazione d’amore per l’uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è la mia carne che soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi offrono aiuto, sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere.

Gli uomini e le donne sono la carne di Cristo. Finché ce ne sarà uno solo ancora sofferente, lui sarà sofferente.

Nella seconda parte del racconto ci sono quelli mandati via, perché condannati. Che male hanno commesso?

Il loro peccato è non aver fatto niente di bene. Non sono stati cattivi o violenti, non hanno aggiunto male su male, non hanno odiato: semplicemente non hanno fatto nulla per i piccoli della terra, indifferenti.

Non basta essere buoni solo interiormente e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra.

Non impegnarsi per il bene comune, per chi ha fame o patisce ingiustizia, stare a guardare, è già farsi complici del male, della corruzione, del peccato sociale, delle mafie.

Il contrario esatto dell’amore non è allora l’odio, ma l’indifferenza, che riduce al nulla il fratello: non lo vedi, non esiste, per te è un morto che cammina.

Il male più grande è aver smarrito lo sguardo, l’attenzione, il cuore di Dio fra noi.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 46

2020 – Echi di Vita N°46 – CHIAMATI ALLA PIENEZZA E ALLA CREATIVITA’

Questa parabola è la sintesi delle due forze opposte di cui si nutre ogni vita: l’emozione e la disciplina, il talento e il lavoro. In quale servo mi riconosco?

 

Nei primi due, quelli che lavorano il loro capitale, il loro splendido dono: e vedono il mondo, gli uomini, il tutto come un dono iniziale che progredisce, un giardino incompiuto che deve crescere e fiorire? Oppure mi riconosco nel terzo servo, quello che non fa progredire niente, uomo inutile al futuro?

 

Il cuore segreto delle cose è un appello a crescere; una spirale d’amore crescente è l’energia. Come per il campo arato che non può restituire in estate solo il seme che ha ricevuto, così per noi, tra semina e mietitura, il nostro ruolo è la moltiplicazione. Pena il non senso della vita.

Il terzo servo ha un cuore malato, senza desiderio. È un esule della creazione, esiliato e inutile, non a immagine del Dio creatore, che sparge a piene mani i suoi germi di luce e di vita, con magnifica esuberanza.

 

Il terzo servo non crea più: solo conserva. Ma il mondo e il cuore non ci sono dati come cose da conservare, come fragili miracoli che possono rompersi fra le mani, ma devono ascendere gloriosamente verso la pienezza.

Non siamo dei conservatori di cose preziose e minacciate, ma dei creatori di opere nuove, servitori della forza lievitante nascosta dentro tutto ciò che vive. Solo così la nostra vita non sarà inutile al divenire comune.

Così è per i primi due servi: nella loro mente non c’è un rendiconto che incombe e turba i sonni, ma una vita che chiede di crescere.

Dio è la primavera del cosmo: a noi il compito di creare l’estate dei frutti. Il mondo è un giardino incompiuto e incamminato.

La parabola è il poema della creatività, senza voli retorici: nessuno dei servi crede di poter salvare il mondo. Tutto invece odora di casa, di viti, di olivi, di lana, di lavoro e di attesa.

Il padrone tuttavia non vuole per sé i talenti, essi restano ai servi fedeli.

Anzi li moltiplica: questa spirale d’amore crescente è il nome segreto di tutto ciò che vive.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 45

2020 – Echi di Vita N°45 – DIECI LAMPADE PER VARCARE NOTTI E SOLITUDINI

Dieci ragazze escono nella notte, armate solo di un po’ di luce; escono per andare incontro. Come la Sapienza che va incontro a chi la cerca; come noi che andremo incontro al Signore, dieci ragazze escono incontro allo Sposo: il Regno dei cieli è simile ad un incontro. Il Regno appartiene a chi sa uscire, varcare notti e solitudini, vivere d’incontri.

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

 

In queste parole trovo l’immagine più bella dell’esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro.

Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un abbraccio. Dio come un abbraccio. L’esistenza come un uscire incontro. Fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio.

Il secondo elemento importante della parabola è la luce: il Regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po’ di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo.

Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte. Simile a qualche seme nella terra, a una manciata di stelle nel cielo, a un pizzico di lievito nella pasta.

Ma sorge un problema: cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell’olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta.

Gesù non spiega che cosa sia l’olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno.

L’alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.

Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono… la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me.

Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me? Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato.

Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce, una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà.

È in quella voce, che non mancherà; che verrà a ridestarmi da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci.

Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade.

A me basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada, e uscire incontro a un abbraccio.

don Alfredo Di Stefano

 

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SAN Lorenzo Parrocchia IT - ECHI DI VITA 2020 N 44

2020 – Echi di Vita N°44 – BEATITUDINI: DIO REGALA VITA A CHI PRODUCE AMORE

Le Beatitudini, che Gandhi chiamava «le parole più alte che l’umanità abbia ascoltato», fanno da collante tra le due feste dei santi e dei defunti.

La liturgia propone il Vangelo delle Beatitudini come luce che non raggiunge solo i migliori tra noi, i santi, ma si posa su tutti i fratelli che sono andati avanti. Una luce in cui siamo dentro tutti: poveri, sognatori, ingenui, piangenti feriti, e i ricomincianti.

Quando le ascoltiamo in chiesa ci sembrano possibili e perfino belle, poi usciamo e ci accorgiamo che per abitare la terra, questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il manifesto più difficile, stravolgente e contromano che si possa pensare. Ma se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore. E possono cambiare il mondo. Ti cambiano sulla misura di Dio.

Dio non è imparziale, ha un debole per i deboli, incomincia dagli ultimi, dalle periferie della Storia, per cambiare il mondo, perché non avanzi per le vittorie dei più forti, ma per semine di giustizia e per raccolti di pace.

Chi è custode di speranza per il cammino della terra? Gli uomini più ricchi, i personaggi di successo o non invece gli affamati di giustizia per sé e per gli altri? I lottatori che hanno passione, ma senza violenza? Chi regala sogni al cuore? Chi è più armato, più forte e scaltro? o non invece il tessitore segreto della pace, il non violento, chi ha gli occhi limpidi e il cuore bambino e senza inganno?

Le Beatitudini sono il cuore del Vangelo e al cuore del vangelo c’è un Dio che si prende cura della gioia dell’uomo.

Non un elenco di ordini o precetti, ma la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno, il Padre si fa carico della sua felicità. Non solo, ma sono beati anche quelli che non hanno compiuto azioni speciali, i poveri, i poveri senza aggettivi, tutti quelli che l’ingiustizia del mondo condanna alla sofferenza.

Beati voi poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell’altro mondo! Beati, perché c’è più Dio in voi. E quindi più speranza, ed è solo la speranza che crea storia.

Beati quelli che piangono… e non vuol dire: felici quando state male! Ma: In piedi voi che piangete, coraggio, in cammino, Dio sta dalla vostra parte e cammina con voi, forza della vostra forza!

Beati i misericordiosi… Loro ci mostrano che i giorni sconfinano nell’eterno, loro che troveranno per sé ciò che hanno regalato alla vita d’altri: troveranno misericordia, bagaglio di terra per il viaggio di cielo, equipaggiamento per il lungo esodo verso il cuore di Dio.

A ricordarci che la nostra morte è la parte della vita che dà sull’altrove.  Quell’altrove che sconfina in Dio.

don Alfredo Di Stefano

 

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