Vigna d’uva selvatica in Isaia, vendemmia di sangue nel Vangelo di Matteo: è la domenica delle delusioni di Dio.
Isaia e Matteo raccontano la cura appassionata di chi ha piantato la vigna, l’ha cinta come un abbraccio, vi ha scavato un tino, eretto una torre, e poi l’ha affidata alle cure d’altri: e inizia la storia perenne di un amore e di un tradimento.
Da un lato la nobiltà d’animo del padrone, dall’altro la brutalità violenta e stupida dei vignaioli. Eppure il tradimento dell’uomo non è in grado di fermare il piano di Dio: la vigna darà frutto e Dio non sprecherà la sua eternità in vendette.
Nelle vigne è stagione di frutti. In noi invece la vendemmia avviene ogni giorno, viene con le persone che cercano pane, Vangelo, giustizia, un po’ di coraggio e una breccia di luce. Cosa trovano in noi?
Vino buono o uva acerba?
Tutti cadiamo nell’errore dei vignaioli: l’atteggiamento sterile di calcolare e prendere ciò che la vigna (che è lo Stato, la Chiesa, il gruppo, la famiglia, la comunità), gli altri ci possono dare. Anziché preoccuparci di ciò che noi possiamo donare, far nascere e maturare.
Ci arroghiamo il ruolo di vendemmiatori, anziché quello di servitori della vita. Anzi, il mio ruolo più vero è quello di una piccola vite, di un tralcio innestato su Cristo, chiamato a dare frutto, senza contare, per la fame e la gioia d’altri.
Il sapore profondo di questo frutto è espresso da Isaia: «aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue».
Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue, ingiustizia e volti umiliati.
«Cosa farà il padrone della vigna, dopo l’uccisione del Figlio?».
La soluzione proposta dai Giudei è logica: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia è riportare le cose un passo indietro, ritornare a prima del delitto, mantenendo intatto il ciclo immutabile del dare e dell’avere.
Ma Gesù non è d’accordo e introduce la novità propria del Vangelo.
Il sogno di Dio non è il tributo pagato, ma una vigna che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, ma grappoli gonfi di sole e di luce.
Per questo è venuto Cristo, vite e vino di festa. Su di lui mi fondo, in lui mi innesto, di lui mi disseto, di lui godo. Cresco di lui, che riempie di vita le strade del mondo, di vino buono le giare di Cana.
don Alfredo Di Stefano
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